Augusta Dentella

Restanza , memoria e gente di Colognola

“Restare, allora, non è stata per tanti, una scorciatoia, un atto di pigrizia, una scelta di comodità; restare è stata un’avventura, un atto di incoscienza e, forse, di prodezza, una fatica e un dolore. Senza enfasi, ma restare è la forma estrema del viaggiare. Restare è un’arte, un’invenzione; un esercizio che mette in crisi le retoriche delle identità locali. Restare è una diversa pratica dei luoghi e una diversa esperienza del tempo”. La presentazione ai concetti essenziali dell’ultima fatica dell’antropologo Vito Teti, sul tema della “restanza” come arte del “rimanere nella consapevolezza” (“Pietre di pane”, Quodlibet), e ispirato alla terra di Calabria, oggetto di abbandoni e spopolamento, ben si applica quale illuminante introduzione al lavoro del filosofo e giornalista Claudio Sottocornola, “Il pane e i pesci” (Editrice Velar), ed in particolare al secondo volume della trilogia, “Scritti cristiani per la gente di Colognola”, che raccoglie interviste, riflessioni, testimonianze del quartiere bergamasco posto a sud della città, fra la campagna e l’urbe, in particolare in quello scorcio di tempo che sono gli anni ’80, e rappresentano la giovinezza dell’autore ed un momento di suo grande impegno nella animazione del quartiere e nel volontariato.

La prospettiva da cui l’autore guarda al territorio in quegli anni è zoommata a partire dal riferimento a una comunità ecclesiale, non chiusa in sé, ma specchio della più vasta comunità che nel quartiere si muove, fra piccoli e grandi accadimenti: raccolte fondi per le Missioni, animazione giovanile, uscita e analisi di grandi encicliche come la “Sollicitudo Rei Socialis”, incontro con vescovi e missionari che raccontano il mondo e sbriciolano pagine di saggezza e di grande sapienza interculturale, esperienze di pensionati addetti al riciclaggio dei materiali che l’Occidente opulento butta via, conferenze di enorme pregio ermeneutico, come quella di P. Bartolomeo Sorge sull’ “uomo planetario”, catechesi di Teologia morale o sul Nuovo Testamento. L’autore, come scrive P. Lino Maggioni, esperto di missionologia, nella Introduzione, non si limita a fare da scriba o amanuense ai fatti del territorio ma, forte di competenze e sensibilità teologiche, li interpreta e li decifra, li decanta e racconta cogliendo il senso profondo della Storia che passa nelle pieghe del quotidiano, e li orienta all’unità, quella tanto auspicata in quegli anni dal papa polacco Giovanni Paolo II con i suoi viaggi pastorali e la sua azione mediatica.

Ma Sottocornola è anche poeta con all’attivo due corpose sillogi (“Giovinezza…addio. Diario di fine ‘900 in versi” e ”Nugae, nugellae, lampi. Quaderno di liceo”), e questo è determinante per capire lo sguardo che rivolge al quartiere e alla gente di Colognola in quegli anni ’80 ed oggi che di quegli scritti fa sintesi: è lo sguardo evocato dalle parole di Vito Teti che abbiamo citato in apertura, quello di chi, pur muovendosi nel mondo con le sue proposte artistiche, culturali e professionali (come le sue famose lezioni-concerto) è però coraggiosamente “rimasto” sul territorio, a guardarlo con lo struggimento e, forse talvolta, lo smarrimento di chi vede tutto passare e cambiare, sprofondando in un oblio assordante nel suo silenzio. E’ quanto l’autore evoca nel volumetto introduttivo alla trilogia, “My status quaestionis 2010”, ove parla di strade deserte la sera, di gente che passa e teme di salutare, di pensionati chiusi in casa davanti al televisore, di amici che si sono persi perché le traiettorie esistenziali divergono e allontanano. Ma non è solo una questione esistenziale, si tratta di dinamiche epocali, che sembrano tratteggiare i lineamenti di un Occidente in declino, ove le grandi migrazioni disegnano nuove gegrafie sociali, la tecnologia pervade la struttura delle relazioni più intime e il non-pensiero prevalente (fra “Grandi Fratelli” e “Isole dei famosi”) si impadronisce anche delle menti migliori.

Quest’estate, sulla piazza di Locri ove Vito Teti presentava il suo “Pietre di pane” era schierata la cittadinanza con i rappresentanti del Consiglio Comunale, le autorità e gli uomini della cultura a testimoniare la consapevolezza di questi declini, di questi abbandoni, ed il valore della “restanza”, della consapevole adesione e appartenenza a un paesaggio di valori, affetti e ricordi percepiti come irrinunciabili, soprattutto nella grande deriva contemporanea. Il Sud ha di questi doni, di queste folgorazioni, e la Calabria si celebra con giusto orgoglio nel suo patrimonio di cultura e si fustiga nelle sue più amare contraddizioni. Ma il Nord? E il quartiere di Colognola in Bergamo? C’è qualcuno che si fermi a ricordare, a narrare, a salvare un paesaggio che va perdendosi sempre più, anche solo con la scomparsa dei suoi migliori protagonisti? Le periferie urbane delle città del Nord sono molto più immemori, distratte, indifferenti, chiuse, ignare di ciò che hanno rappresentato le loro genti e i loro territori, e non è solo questione di giovani, perché anche i vecchi vanno perdendo l’identità a favore di una appartenza angustamente televisiva e artificiale, edulcorata e asettica, ove non c’è più posto per la relazione, il dialogo e l’incontro. Sottocornola fa del suo meglio e, come un archeologo alla ricerca dei reperti mancanti mette insieme, incastra, cuce, incolla, ma soprattutto intona il suo malinconico canto su un mondo che non c’è più. Commenta Lino Maggioni, nell’Introduzione agli “Scritti cristiani per la gente di Colognola”: “Giovane, Claudio ha salvato i sassolini bianchi che ha raccolto (laddove molto andava perduto), ne ha fatto una composizione nuova, di grande valore simbolico, una rappresentazione storica e letteraria, spirituale ed ecclesiale di quegli anni ’80 e della sua giovinezza in quegli anni…e ha salvato un paesaggio, le persone che lo abitano, le speranze che lo attraversano… Possiamo così avvicinarle, riscoprirle oggi insieme, condividerle. E’ un grande dono…”.

Famiglia in dialogo, settembre-ottobre 2011

di Augusta Dentella

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