Davide Cucchi

Crescere: un prosimetron per raccontarlo
Durante questa estate ho letto il libro del professor Claudio Sottocornola, intitolato “Giovinezza…Addio. Diario di fine ‘900 in versi”, e devo dire che trovo il titolo completamente azzeccato, poiché l’opera presenta la fine di un secolo, in cui io ho vissuto per una decina di anni e del quale perciò non posso dire molto basandomi sulle mie esperienze ed emozioni, raccontata dagli occhi, prima, di un ragazzo della mia età, poi da quelli di un adulto ormai maturo, ma che può essere definito in continua ricerca, proprio come i filosofi dell’antichità. L’opera, un prosimetron, è composta da una prima parte introduttiva scritta in prosa, nella quale l’autore spiega il motivo della scelta di raccogliere varie poesie da lui composte nell’arco di 20 anni di vita (dai 15 ai 35) ma che attraversa l’atmosfera di tre decadi (anni ’70, ’80 e ’90, più precisamente dal 1974 al 1994) molto differenti tra loro per senso della cultura, dell’arte, della musica, della religiosità, ecc. In questi testi, divisi in diverse sezioni sia per ordine cronologico sia per quanto concerne il contenuto semantico e anche lo stile compositivo, vengono affrontati svariati argomenti: per esempio appare una descrizione della società dell’epoca, che, con mio grande stupore, presenta anche caratteri abbastanza diversi sotto alcuni punti di vista da quelli dell’odierna; ma anche un percorso di crescita personale – sia fisica sia, soprattutto, morale e interiore – di un “giovane-modello” di questo periodo, che si trova letteralmente di fronte a un mondo tutto da scoprire, analogamente a ciò che molti filosofi hanno scritto a proposito di se stessi o dei loro maestri nelle proprie biografie.
In particolare mi ha colpito la religiosità della sezione Preghiera, nella quale l’autore, sulla falsariga di Sant’Agostino nelle sue Confessioni, si pone di fronte alla propria vita interrogandosi sulla sua dimensione spirituale, in una sorta di dialogo con Gesù, come accade nella poesia Gesù mi sento stanco e debole, in cui lo scrittore-filosofo chiede a Gesù di “purificarlo” e di dargli la forza di andare avanti nella vita che in quel momento egli vede come “vana e nuda”; proprio nella forma di una preghiera egli scrive: “O Signore, raccogli l’acqua pulita che è rimasta, fammi una pozza da cui scorra un rivo limpido. Fa che non si esaurisca la pozza, che l’acqua sia sempre pura, che doni un po’ di verde ai prati.”. Mi colpisce il rapporto tra l’autore e Gesù.

Un’altra riflessione è a proposito della poesia La rettoscopia, avviata contenuta nella sezione Pensiero debole, della quale sono rimasto sorpreso per un giudizio dell’autore riguardo alla condizione umana: “Le pareti dell’intestino sono abitualmente abitate da cacca”; è un’affermazione insolita, ma che spinge a ragionare su ciò che un uomo è o perlomeno può essere, e portarlo dunque a capire in che modo egli dovrebbe comportarsi con se stesso e con gli altri.
L’opera è risultata di mio gradimento, anche se per alcuni concetti un po’ difficoltosa da intendere, ma sono convinto che, proprio come il “protagonista” del libro, potrò riuscire a coglierne il senso profondo solo attraverso la maturazione che viene dalla ricerca e dall’esperienza.

I commenti sono chiusi.