Le “Pop Ideas” di Claudio Sottocornola,
madeleine del fanciullino ritrovato

di Antonio Falcone

Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…

Marcel Proust, Dalla parte di Swann

La personalità di Claudio Sottocornola, così come ho avuto modo di conoscerla nel corso degli anni, si è sempre palesata come qualcosa di unico nell’ambito di una poliedricità mai ostentata, idonea a rendere la filosofia – suo impegno istituzionale prevalente – il punto centrale del discorso intellettuale, e avvalendosi di un affascinante percorso interdisciplinare nell’affrontare le più svariate tematiche con originalità, coerenza e lucidità di pensiero.

Il tutto prende piede da uno studio critico ed interpretativo  del linguaggio pop, diminutivo di popular da considerarsi con valenza estensiva, e con particolare riferimento alla musica, senza trascurare tuttavia l’apporto massmediologico delle arti visive e dei vari mezzi di comunicazione. L’adoperarsi nell’impiego di una metodologia multiforme ha consentito al filosofo del pop di analizzare ogni elemento della rituale quotidianità a partire da diverse angolazioni, un approccio globale che gli ha permesso di smarcarsi da una visione univoca della vita, a favore di una molteplicità di riferimenti cui attingere in nome del dialogo e dell’interazione.

Ma il linguaggio popular, come può evincersi dalla visione dei disegni elaborati da Sottocornola fra il 2010 e il 2013 – la serie Pop Ideas, ora resa pubblica –  ricorrendo a matite colorate, pongo, pennarelli, rappresenta per l’autore – come egli stesso dichiara – anche un ritorno all’ideale dimensione felice della propria infanzia, per esempio alle note delle canzoni di Paul Anka o di Rita Pavone che, come la madeleine di Proust, riportano in lui sensazioni mai perdute e pronte a riaffiorare quale antidoto ad una contemporaneità che sembra ormai aver smarrito le coordinate di un primigenio, spontaneo, affidamento alla vita, proprio di un fanciullo intento alla scoperta del mondo. Ecco allora l’impiego di colori primari, “gettati” sulla carta con ruvida immediatezza – che ricordano le esperienze dei fauves, e di Matisse in particolare –, senza alcuna mediazione che non sia quella di una immaginazione che attinge dalla cultura di massa e si staglia quale personale riflessione su varie tematiche. Tale approccio iconizza quindi espressivamente immagini idonee a farsi simbolo di una concretezza quotidiana che confluisce verso uno standardizzato immaginario collettivo, spiazzato però e riportato in un alveo più propriamente fantasioso e genuino, in virtù di tratti dal taglio ora violento, ora morbido e scomposto.

Nei ritratti di personalità del mondo dello spettacolo, ispirati alle fotografie  dei giornali o alle copertine dei 45 giri, può allora emergere la dimensione solipsistica e misteriosa del divo (Garko), scaturente da uno sguardo volto ad un personale altrove, la conclamata consapevolezza di una “normale” popolarità di massa (Rita Pavone) o, ancora, l’enigmaticità e misterica presa di distanza (Diva anni’60, ispirato ad Ornella Vanoni), ma anche la dolcezza e un pudico romanticismo esistenziale (Francois, ispirato a Francois Hardy), in contrapposizione alla gioiosa sfrontatezza dell’irretire (Desperate Housewives, ispirato ad Eva Longoria) o alla mitologia irridente di Adriano Celentano (Azzurro e menta).

Rimarchevoli nel loro impatto visivo Let It Snow (ispirato alla copertina del cd di Irene Grandi Canzoni per Natale, 2008), la serenità gioiosa, interiorizzata, volta a piacevoli ricordi, la sentita celebrazione delle festività nel corso della propria infanzia, e Addio mondo crudele (ispirato alla copertina dell’omonimo 45 giri di Peppino Di Capri, 1962), dove la reinterpretazione del sorriso elargito dal clown esalta ancor più uno sguardo malinconico, che probabilmente intercetta le risate di un pubblico indifferente.

In generale, risulta persino scontato il riferimento alla pop art americana, e in particolare a Andy Warhol, per parlare delle Pop Ideas di Sottocornola, che non fa mistero di un proprio mythos fondativo radicato nell’immaginario americano anni ’50 e ’60, crooner e rock and roll, teen-idol e american middle class, mentre un certo gusto italiano della fiaba (vedi Pinocchio e la Fata, ispirato alla riduzione televisiva di Luigi Comencini del 1972) mostra una non ovvia familiarità dell’autore con le fantasie di Gianni Rodari, declinate nel solco di una più accentuata astrazione o straniazione (del resto, è lui stesso invece a citare Carla Ruffinelli, grande illustratrice di fiabe, come ispiratrice della sua sensibilità di bambino).

Occorre così evidenziare che se il carattere claustrofobicamente inquietante delle icone pop di Warhol alimenta l’estetica della pop art americana, fiaba, infanzia e senso del sacro trovano in Sottocornola un correttivo italiano, che connota i suoi disegni di un alone che sembra evocare mistero e trascendenza.

La simbologia pop raffigurata da Sottocornola, nella sua descritta predilezione per i tratti naturalmente elementari e spontanei, trova così ideale sublimazione nei disegni ispirati all’iconicità di molte raffigurazioni religiose (Angeli, Natività, la bellissima Madonna archetipa, colma di materna dolcezza, San Giuseppe con bambino, Cristo pop, San Francesco e il lupo di Gubbio, ideale visualizzazione del Bene che si offre al Male quale opportunità redentrice), in quanto  riportano il senso del sacro ad una dimensione più propriamente umana, ridefinendo in una proporzione terrena, tangibile, ciò che è etereo, celeste. Le Pop Ideas di Claudio Sottocornola, per tornare a quanto scritto inizialmente, vanno dunque ad integrarsi  con coerenza nel solco di quell’esperienza ermeneutica – interpretare la realtà con mezzi diversi –, che da sempre rappresenta il fil rouge della sua personale proposta, esaltando ed offrendo ulteriore suggestione al concetto, estremamente caro all’autore, dell’indissolubile legame tra cultura e vita.

E, fra le tante idee pop, una Santa Rita da Cascia, nella sua coloratissima scenografia, nelle sue pastose e carnali sproporzioni, incoronata di spine e col crocefisso in mano, fra rotocalco e immaginetta, sembra essere una efficace sintesi di questa sensibilità ibrida, platonica e popular, americana e mediterranea, tradizionale e straordinariamente eversiva.

 

 

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