Antonio Falcone

Il “dono” di Claudio Sottocornola: riscopriamo la progettualità della vita

Ho conosciuto Claudio Sottocornola, ordinario di Filosofia e Storia a Bergamo, nell’estate del 2009, in occasione della presentazione presso la Bibliomediateca Comunale “Armando la Torre” di Siderno del suo bel libro di poesie Giovinezza addio (1974-1994-Diario di fine ‘900 in versi).

Ebbi anche modo di intervistarlo e scoprire così una personalità a dir poco unica, un moderno filosofo che fa della filosofia il punto centrale del suo personale discorso intellettuale, avvalendosi di un affascinante percorso interdisciplinare che lo porta ad affrontare varie tematiche con originalità e sempre con coerenza e lucidità di pensiero, a partire da quel pop, diminutivo di popular come ha sempre tenuto a precisare, da vedersi come un termine non a valenza riduttiva bensì estensiva, il cui linguaggio ha studiato e criticato con particolare riferimento alla musica “leggera”. Da ricordare al riguardo le sue “lezioni-concerto” e la trilogia musicale L’appuntamento in cd e dvd, dove si mette in gioco come interprete di note canzoni, italiane e straniere, con una certa efficacia.

Lunedì scorso, grazie al fattivo impegno della citata Bibliomediateca Comunale, che si esprime nel valente operato delle collaboratrici operanti nella struttura, Gisella Costa e Francesca Iacopetta, preparate, gentili e sensibili, che hanno al loro attivo interessanti e riusciti progetti di collaborazione con le scuole del comprensorio, è stato possibile seguire Sottocornola nella presentazione di un particolare percorso tra immagini, poesie e pensieri Il giardino di mia madre ed altri luoghi, con The gift-Il dono, prezioso saggio esplicativo del suddetto percorso, nonché dono, appunto, di un professore ai suoi allievi maturandi al termine dell’anno scolastico, un invito a divenire parte attiva in quel complesso progetto che è la vita. Illustrata anche la sua nuova raccolta di poesie Nugae, nugellae, lampi, che si ricollega alla precedente Giovinezza addio, con un nostalgico ritorno indietro nel tempo. Relatrici la giornalista Maria Teresa D’Agostino e la giornalista e scrittrice Lidia Zitara, abili nell’introdurne la figura, la prima sottolineandone l’anticonvenzionalità nell’approccio ai temi della poesia e della filosofia, la seconda soffermandosi sull’idea del giardino come luogo, deposito di ricordi individuali e collettivi, abbandonando il burocratico termine “area verde” da intendersi come estensione superficiale ed area circoscritta.

Il professore ha inizialmente spiegato la ragione che lo ha spinto ad affrontare la tematica del giardino, elevandola a metafora di vita: la morte improvvisa della madre nel 2003, anche in seguito ad errori ed omissioni umane, che gli ha fatto subito risaltare il contrasto tra il suo modo di essere, altruista e generoso, attiva in varie attività di volontariato, e quel cinico disinteresse verso la vita umana, come ogni altra forma di vita, che sembra ormai essersi impossessato di una parte della nostra società. Il giardino è luogo di cura, di ricerca della bellezza, del’armonia, come anche di responsabilità e di lavoro per far risaltare tutto ciò, quindi metafora di un vivere civile, improntato tanto all’affermazione di sé che al rispetto verso il prossimo: ecco quindi farsi avanti il concetto a lui caro dello stretto legame tra cultura e vita, che deve essere tanto forte da permettere il superamento dell’ormai dominante “pensiero debole”, che, come sagacemente illustra nel libro, può essere tanto “una forte luce per cui tutte le cose brillano allo stesso modo o una notte indistinta con pochi lampi”, per cui riplasma il nostro paesaggio culturale offrendoci da un lato la possibilità di mettere in discussione tutti quei contenuti o quelle gerarchie di valori a lungo dati per certi, ma dall’altro ci allontana da ogni priorità, direzione, speranza o metodologia di vita.

Occorre tornare ad una progettualità della vita, capire che ciascuno di noi riguardo a valori come la bellezza, la democrazia, la giustizia, ha un mythos fondativo diverso, fatto di volti, esperienza, familiarità, abitudini che assurgono ad una profondità e ad una attrazione che va ben al di là di ogni concezione astratta e che solo accettando tale diversità si può comprendere o comunque carpire la prospettiva da cui ha origine, empatizzando con la sua interpretazione, sino ad arrivare all’evangelico “amare il prossimo come sé stessi”: si delinea allora un ritorno alla vita sociale, ad una vita di relazione e comunione, senza che la nostra identità possa essere determinata da ciò, perché la realtà è ben più grande di noi, ci travalica e ci precede, con l’amore e la sua logica a trionfare.

Quest’ ultima è “estetica, manifestativa, artistica, gratuita e varia…libera e geniale perché in grado di suscitare sempre nuovi linguaggi ed esperienze…il suo movimento è incessante, la creatività che l’attraversa coinvolge non solo gli uomini, ma l’ultimo granello di polvere e Dio stesso”. Un percorso originale, diretto pur tra metafore e simbolismi, quello delineato da Sottocornola, che ci porta ad apprezzare quel dono che ci è stato fatto, la vita, il talento donatoci che non abbiamo saputo far fruttare, persi tra egoismi ed ipocrisie: “Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete ma non vedrete. Perchè il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi e han chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, per non sentire con gli orecchi”(Mt. 13, 10-17, che riprende Isaia 6, 9-11).

Sunsetboulevard.com, 18.7.2010

di Antonio Falcone

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