Accendiamo la luce!

Memoria per il Natale 2022

di Claudio Sottocornola

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Caravaggio, Conversione di San Paolo, seconda versione (particolare),
Santa Maria del Popolo a Roma, 1604
 
Per chi si avvia a una maturità inoltrata lo scorrere del tempo, con le inevitabili accelerazioni che comporta sul piano percettivo, è già motivo di qualche ansia e preoccupazione: la generazione che ci ha preceduto ha preso o sta prendendo commiato da noi e, fra la nostra, si registrano le prime defezioni. Il senso del futuro si va così assottigliando e, mentre l’adolescente ha l’infinito davanti, l’uomo maturo ha l’attimo presente che, in considerazione del fatto che pochi hanno realizzato pienamente le proprie aspettative, non è sempre del tutto gratificante e pure è tutto ciò che resta di un lungo percorso.

Appaiono così sempre più venali le ambizioni e le strategie che accompagnano quanti ancora sono impegnati nella costruzione della propria identità adulta: desiderio di affermazione e apprezzamento degli altri, conformismo e ricerca di appartenenza al fine di ottenerlo, efficienza funzionale ad un ambiente o un esercizio, immersione in un ruolo e una maschera socialmente appetibile, progettazione di uno status o ambiente che includa inoltre una plausibilità economica idonea e riconoscibile, gestione di una vita affettiva troppo spesso pericolosamente integrata – se non subordinata – alle predette condizioni…

Sì, tutte queste cose sono paglia (direbbe Tommaso d’Aquino) per l’uomo maturo e, d’altra parte, che resta delle altre? È vero che molto dipende anche da noi, ma non tutto, e le proporzioni del dare-avere in questa vita sono misteriose, al punto che si può nutrire un fondato sospetto che, talvolta, l’esistenza di un clochard sia intimamente più bella e realizzata rispetto a quella di un miliardario o di uno stimato intellettuale che pontifica da una cattedra o da uno schermo. E tuttavia – soprattutto per sognatori e visionari, ma io credo anche per l’uomo comune – lo scarto, il divario fra speranze e realtà ha sempre un che di doloroso, di irrisolto, di mortificante. Non si creda infatti che coloro che hanno potuto raggiungere traguardi in apparenza proporzionati alle proprie aspettative siano esonerati da tale esperienza di scacco. Al vertice di una carriera perseguita con determinazione si può tuttavia percepire una desolante solitudine, così come alla realizzazione di un progetto può seguire una sensazione di inutilità, la dedizione verso gli altri può incontrare anche indifferenza e ostilità, l’amicizia può non essere corrisposta e il comportamento più gretto può invece essere premiato. La vita insomma, come i sapori base, ha qualcosa di dolce, ma anche di amaro, di salato, ma anche di acido. E va presa tutta insieme.

Anche la Storia che scriviamo con la s maiuscola ha in sé questa ambivalenza e gli ultimi anni sono stati per noi – e continuano ad essere – un momento di prova che in gran parte non ci aspettavamo: prolungata e inaspettata pandemia di Covid 19, invasione dell’Ucraina da parte della Russia e guerra nel cuore dell’Europa, conseguente crisi energetica ed economica, disastri ambientali sempre più frequenti a seguito dei cambiamenti climatici in atto, fenomeni migratori che, lungi dall’essere risolti, appaiono sempre più giganteschi e incontrollabili, guerre sparse per il resto del pianeta, violenza e anomia delle nostre società occidentali, ormai prive di condivisione ed empatia fra individui sempre più isolati e diffidenti.

Forse, rispetto ad altre epoche, ciò che contraddistingue questa età di crisi, e si configura peraltro come una concausa della crisi stessa, è la rivoluzione digitale che ci ha accompagnato nel nuovo millennio, stravolgendo le nostre esistenze all’insegna della loro virtualizzazione. Tutto infatti si soddisfa via web ma ciò, se ha modificato le sinapsi dei nativi digitali trasformandoli in una specie geneticamente connessa, ha determinato per tutti e in tutto il pianeta l’ambivalente approdo alla trascendenza della Rete e, in particolare, dei social. L’assenza di futuro – che in questa società non coinvolge solo anziani ma anche mondo adulto e giovani senza prospettive incoraggianti –, come assenza di una qualunque trascendenza rispetto al qui ed ora del dato, è infatti surrettiziamente compensata dall’accesso alla trascendenza della Rete che è tuttavia una trascendenza fittizia, perché insussistente rispetto ai luoghi della realtà, ma in grado di isolare gli individui in una bolla virtuale, che li consegna a una condizione di irrealtà in cui ne va della vita vera, che rapidamente si estingue divorata da uno schermo e una tastiera, o da uno smartphone con le sue infinite app che non ci lasciano più. Il meta-verso che andiamo sognando come naturale esito di ciò non sarà quindi solo potenziamento museale e archivistico della nostra esperienza interiore, ma anche e forse soprattutto deprivazione di vita vera, di immaginario, di intelligenza simbolica, di rapporti umani concreti, destituiti di senso dalla bolla virtuale che finirà con l’inghiottirci. Pericoli del resto già in gran parte operanti nella esperienza mentale e affettiva di quanti vivono di connessioni web ed eludono la vita reale.

La festa del Natale in arrivo, così fondativa della nostra civiltà e mentalità, può evocare altro orizzonte a questa deriva occidentale ormai globalizzata. Intanto, è la festa di una nascita, e questa comporta sempre un atto di ancoraggio alla realtà, un atto di fede esistenziale. Poi è una nascita povera, niente culla termica ma una mangiatoia e l’alito caldo di un bue e un asinello, due viandanti e qualche pastore, il freddo, una luce. E da subito il presagio o destino di una passione (per l’iconografia orientale, la mangiatoia è già sepolcro e deposizione), a dire che quella breve vita è tutta contenuta in un fiat, che è poi – fra alti e bassi – quello di ognuno e del suo proprio esistere, comunque e a qualunque costo. Infine è Dio, ovvero la presenza della trascendenza fra noi, che – mistero, enigma, paradosso? – si ripete, in fondo, per ogni esistenza e ogni spazio-tempo. Che allora, proprio nella conquista di tale luogo, il proprio spazio-tempo, unico e vero tempio in cui l’incarnazione può continuare, finalmente vive il qui ed ora dell’attimo come eterno. E non teme, non può più temere il futuro, perché esso semplicemente non esiste se non in quanto eternità dell’attimo, illuminato da una luce per la quale il futuro è un eterno presente, un’attualità iper-dinamica in cui infine anche noi siamo chiamati a trasfigurarci, un giorno, pienamente.

La perdita di futuro dell’uomo maturo, in quest’ottica, diviene allora una conquista, una scoperta, una illuminazione appunto, laddove il presente si configura come anticipazione dell’eternità e questa una rivelazione sul carattere effimero di tante cose che credevamo importanti ma non lo erano, e che possiamo finalmente lasciarci alle spalle, in favore di ciò che non passerà mai. La qualità della nostra vita dipenderà allora da quanto abbiamo lasciato agire tale trascendenza in noi, da quanto siamo stati trasparenti alla sua luce discreta ma avvolgente, da quanto di riflesso siamo stati in grado di illuminare lo spazio-tempo che ci è dato abitare, rendendolo un luogo più bello, più caldo, più sicuro per tutti. Accendiamo allora la luce nella nostra anima, perché questo Natale che si avvicina, ancora una volta, porti pace agli uomini di buona volontà, e la gioia intensa di quella vita reale che si apre al rischio dell’incontro e dell’altro, rinunciando al narcisistico rispecchiamento nel mondo virtuale per rispondere, ancora una volta, al richiamo di una stella che invita al cammino.

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