Scritti cristiani per la gente di Colognola

Quei sassolini bianchi

Le grandi trasformazioni di Colognola sono iniziate con un contratto di acquisto e un decreto amministrativo. Nel 1924 è stato definito il contratto di acquisto dell’area destinata alla costruzione della nuova chiesa. Nel 1927 è cessata l’amministrazione comunale autonoma e Colognola è entrata nello spazio cittadino.

Ma quel che stupisce è che gli abitanti di Colognola non hanno lasciato seccare al sole le proprie radici ed invece hanno contestualizzato il passaggio dalla vita rurale alla concentrazione delle energie e della cultura, delle relazioni sociali proprie di una città.

Dallo spazio cittadino confluivano a Colognola nuove idee sul rapporto individuo-stato, nuove aperture intellettuali sulla umanità, la nazione, le relazioni fra i popoli. Insieme anche alle basi ideologiche di un nuovo ordine tecnico, politico, sociale… di partecipazione, di cultura.

Così è nata nel corso degli anni, dei decenni, una collezione di esperienze e di risposte articolate, degne di un genuino spirito di impegno e approfondimento sul volto umano della città, sul significato dello “sviluppo umano”.

Ad esempio, in sede di Consiglio comunale, Agostino Cardinali veniva regolarmente richiamato all’ordine: “Lei è consigliere comunale della città di Bergamo. Pertanto deve smettere di parlare solo e sempre di Colognola”. Al che lui rispondeva immancabilmente: “Smetterò di parlare di Colognola quando verrà colmato il divario della viabilità, degli agglomerati edilizi, dei servizi sociali, dell’educazione scolastica, che si protrae tra Bergamo e Colognola”.

Nel contesto in cui il baricentro del paese si spostava dalla via Carlo Alberto a piazza Emanuele Filiberto, tra gli anni ’60 e ’70, la comunità cristiana del quartiere ha portato la chiesa parrocchiale in piazza. La domenica e durante i giorni della settimana, si vedono persone uscire ed entrare in quel tempio. Si vede anche gente che per risalire a una presenza in chiesa deve ricorrere o a qualche funerale o a un matrimonio. Altri passano senza che un fremito sia passato nei loro cuori. Tutto ciò non è banale: la gente realizza che chiesa è stare insieme, lavorare, incontrarsi.

A Claudio Sottocornola va riconosciuto il merito di aver fissato tanti momenti di vita quotidiana e comunitaria della ecclesia quando stava irreversibilmente mutando la sua modalità di presenza sul territorio. Lo ha fatto a partire da una duplice prospettiva: quella di un soggetto che è cresciuto a contatto con un’esperienza spirituale in cui si riconosce e che ha fatto sua al punto di identificarla con la propria ricerca esistenziale, culturale, filosofica, e che, dall’altro, proprio questa ricerca fa diventare in questo libro criterio di lettura e di interpretazione dei tanti episodi e “fatterelli” che germinano o semplicemente “accadono” nell’ambito della comunità nel quartiere, con un atteggiamento fondamentale, l’intuizione che bisogna andare verso l’unità.

Claudio si imbatte in alcune modalità di animazione spirituale del territorio negli anni ’80, poco più che ventenne: sono ormai alle spalle le processioni celebrative, quando la Chiesa sfilava sul territorio con le sue bandiere, le sue confraternite, i suoi vessilli… è finita da tempo l’era confessionale e, nel solco degli sviluppi al Concilio Vaticano II, gli anni ’60 e ’70 hanno condotto la comunità ecclesiale ad una riflessione in cui il laicato ha acquisito maggior centralità e un ruolo più definito.

E tuttavia l’abbandono o quantomeno la disaffezione alle proposte di oratori, parrocchie, gruppi missionari ed ecclesiali continua, prima per la radicalizzazione delle istanze critiche nel contesto culturale e sociale del post-’68, poi per l’onda lunga del “riflusso” negli anni ’80, che vede un ritorno al privato e la proiezione verso ambizioni e obiettivi più individualistici.

Sottocornola, che proprio in quella metà degli anni ’80 si laureava in Filosofia con una tesi in Storia della teologia (“La spiritualità eucaristica di Charles de Foucauld nella sua vita”, ora prima parte di questa trilogia) e andava quindi costruendo competenze sempre più trasversali, dalla Storia della filosofia e della teologia alla Storia della Chiesa e della liturgia, aveva quindi tutti gli strumenti cognitivi per leggere questa realtà in mutamento e rapportarla a quel che avveniva nella più ampia Chiesa italiana e nel mondo.

E invitato a scrivere per il Notiziario allegato a “L’Angelo in famiglia”, ove peraltro fortifica la sua vocazione giornalistica (ha incominciato con un corso negli U.S.A. e scrivendo i primi pezzi completamente in inglese, poi sarebbe diventato giornalista pubblicista collaborando con svariate testate italiane), non assume certo il passivo ruolo dello scriba, dell’amanuense, ma al contrario si fa interprete della vita della Chiesa sul territorio nel suo quotidiano svolgersi, alla luce di una esigenza di universalità e di unità che peraltro coincidono con un particolare momento della Storia.

Siamo ai primi, intensi anni, del pontificato del papa polacco, Giovanni Paolo II, che riapre la Chiesa e la pone al centro dell’agorà sociale, culturale e mediatica, riconsegnando ai credenti la possibilità di una identità e dignità culturale che sembrava perduta, e lo fa anche attraverso una filosofia personalistica di grande suggestione. Abbiamo già citato, nell’ambito della formazione del Sottocornola, l’influenza della spiritualità di Charles de Foucauld, ma, per restare geograficamente in un’area più circoscritta, non si può non sottolineare anche la grande empatia del giovane Sottocornola per il papa bergamasco Giovanni XXIII, di cui studia e analizza “Il Giornale dell’Anima”. Claudio ha poi studiato negli anni del Liceo con passione l’esperienza di don Lorenzo Milani e della Scuola di Barbiana, ha partecipato giovanissimo a Brindisi a un Campo di lavoro di Mani Tese, associazione allora all’avanguardia nella denuncia degli squilibri fra Nord e Sud del mondo, ha frequentato il Gruppo Giovanile dei Padri Gesuiti di S. Giorgio, che si sforzano in Bergamo di coniugare le istanze del contemporaneo con la sapienza biblica e lo sguardo della fede, ha conosciuto i movimenti, dai Focolari di Chiara Lubich, attivi sul territorio di Colognola grazie ad alcune animatrici, a Comunione e Liberazione, di cui non è mai stato membro, ma che ha potuto avvicinare grazie ad alcuni amici e anche ad un occasionale incontro con don Lorenzo Giussani nell’Aula Magna dell’Università Cattolica di Milano…

Un’esperienza ampia ma, come si vede, non unilaterale ed, anzi, grazie alla non-appartenenza ad alcuno dei movimenti citati, in grado di lasciare Sottocornola libero di raccoglierne gli input e le suggestioni senza restarne condizionato. Anzi, la formazione di Sottocornola, negli anni in cui frequenta il Liceo scientifico “F. Lussana” a Bergamo, si ispira a una cultura rigorosamente laica: l’esistenzialismo di Sartre, di cui legge il “Manifesto…” restandone intensamente impressionato, le suggestioni letterarie e cinematografiche del neo-realismo e dei grandi registi italiani, il rigore di ispirazione neo-kantiana del maestro Federico Tassoni, le aspirazioni marcusiane che gli studenti respiravano nell’aria in quegli anni… All’Università Sottocornola segue invece le lezioni dei migliori maestri del pensiero cattolico in Italia, come Sofia Vanni Rovighi, Gustavo Bontadini, Virgilio Melchiorre, Giovanni Reale, e di teologi come Antonio Acerbi e Franco Brovelli (rispettivamente relatore e contro-relatore della sua tesi di laurea), Gioacchino Molteni, Luigi Cortesi, Rinaldo Falsini… Rispetto al pensiero più laico e agnostico assimilato in precedenza, negli anni del Liceo, Sottocornola è quindi “costretto” a una mediazione e a una sintesi di indubbio valore, che comporta grande impegno ed esige un enorme sforzo, cui Claudio non si sottrae, convinto com’è di dover nulla perdere di quanto gli viene trasmesso, ed anzi obbedendo ad un’esigenza interiore di universalità e di valorizzazione di ogni esperienza culturale.

Quindi, con la grande lezione di Charles de Foucauld a ispirare, Claudio Sottocornola, nella sua attività di animazione, coglie il passaggio essenziale dalla missionarietà come delega, alla missionarietà come impegno e responsabilità: non a caso si impegna anche come obiettore di coscienza nell’esperienza del servizio civile presso il Comune di Mogliano Veneto, in provincia di Treviso. Sino a quel momento Colognola aveva prodotto grandi esperienze di missionari “ad extra” e ne era orgogliosa: mons. Cesario Minali, vescovo in Brasile, mons. Giovanni Nava, missionario in Bangladesh, P. Norberto Fasolini in Africa. Questi erano i missionari che partivano e non tornavano più, soggetti e protagonisti di un processo di “inculturazione” irreversibile (solo P. Minali tornò brevemente per essere ordinato vescovo). Poi c’è stata la seconda generazione: quella di P. Luigi Sala, P. Ettore Fasolini, P. Alfiero Ceresoli, P. Giacomo Milani, Suor Antonia Rota e me [P. Lino Maggioni, n.d.r.]. Questi missionari tornano a raccontare la loro esperienza, stimolando e suscitando la riflessione sul territorio.

Ma Claudio, che conosce questa seconda generazione di missionari (alcune interviste qui raccolte lo testimoniano), si muove in realtà totalmente all’interno della nuova logica, quella della terza generazione, sulla quale contribuisce a focalizzare l’attenzione: è finita la delega ed ora la missionarietà si esprime attraverso l’assunzione delle responsabilità. Il missionario non è più colui che parte ma, come esemplificato nell’attenzione di Sottocornola alle varie forme dell’impegno sul territorio, ha a che fare con il volontariato di ogni ordine e tipo, dal riciclaggio di carta e stracci alla animazione sportiva del quartiere, dalla pulizia del luogo sacro alla gestione del tempo libero in oratorio, dai processi di alfabetizzazione all’impegno dei laici nel Sud del mondo… E tutto questo sullo sfondo delle grandi tematiche evocate dalla “Sollicitudo rei socialis”, la spinosa questione della “politica del cibo” nel rapporto Nord-Sud del mondo, le suggestioni relative alla teologia dell’“uomo planetario” di P. Sorge… Mentre Sottocornola contribuisce più direttamente con un intervento (scelto come introduzione di questa raccolta), relativo a una “teologia dello specchio”, in cui è analizzata la relazione fra dimensione antropologica e dimensione teologica del riconoscimento personale e della relazione come esperienza di “salvezza”.

In tutta l’articolazione della raccolta, dalle interviste a vescovi, missionari e volontari ai pezzi di divulgazione e riflessione teologica, dagli articoli di presentazione delle diverse spiritualità presenti sul territorio al divertente promozionale della scuola materna del quartiere, è evidente la direzione che Sottocornola assume e che accompagna trasversalmente l’approccio ai temi più disparati, e cioè un’esigenza di universalità, di apertura a 360°, di relazione a un mondo che va – e deve andare – verso l’unità. E nel quale quindi, ancora una volta, occorre fare sintesi delle più diverse esperienze, mettere in discussione la pretesa all’esclusività delle parti in gioco, abbattere muri e barriere a distinguere fra “alto” e “basso”, ridiscutere e armonizzare i ruoli (per esempio, scoprire che Gesù era, “sociologicamente”, un laico e tale veniva considerato dalla sua gente…).

In questo senso, il costante, implicito invito che Sottocornola esprime in queste sue prove giornalistiche degli esordi e, più in generale, nella sua attività di impegno sul territorio, non è cambiare l’ordine delle proprie esperienze, ma il livello della propria consapevolezza. Come De Foucauld ti devi aprire all’universale, acquistare consapevolezza del valore intrinseco alle tue azioni, che hanno una ricaduta storica, mondiale, indipendentemente da ciò che di “materiale” tu fai! Ed è la famosa storia degli scalpellini a cui qualcuno domanda: “Che state facendo?”. Il primo risponde: “Spacco delle pietre…”. Ma il secondo: “Sto costruendo il tempio!”.

In questi anni ’80 così ambivalenti, segnati dal graduale riavvicinamento Est-Ovest (ricordate Reagan e Gorbaciov?), dai viaggi missionari di Giovanni Paolo II in tutto il mondo e dalle prime Giornate della Gioventù (Sottocornola è a quella di Roma), dall’esplosione dei media e dall’avvento dell’era digitale, ma anche dal ripiegamento nel privato, dal perseguimento di obiettivi talvolta effimeri ed egoistici (soldi, carriera, successo, immagine…), dalle prime avvisaglie della finanza virtuale…, Sottocornola sembra condurre una lettura del decennio (come si intuisce anche dalle sue ricerche figurative in “Eighties/laudes creaturarum ’81”, con materiale pubblicitario dell’epoca) alla luce di una “teologia della trasfigurazione”, che lo porta a cercare valore e universalità nella più vasta e varia gamma di esperienze.

Allora il messaggio diventa: lascia lo spazio rassicurante e circoscritto (sia esso il luogo di culto, o il centro del paese), e conquista la piazza, la comunità, la cittadinanza, allarga la tua visione alla dimensione della comunità, e della comunità planetaria…

Quando la Chiesa ha avuto bisogno di questa universalità, Claudio ci si è buttato dentro, si è lasciato coinvolgere, è diventato protagonista di una attività instancabile… di cui in questa raccolta cogliamo lo slancio iniziale, il tempo della sorpresa e dell’attesa, l’“Eccomi” … La creazione del “Gruppo di Animazione Missionaria”, la collaborazione con il Notiziario de “L’Angelo in Famiglia”, la catechesi e le corali (a proposito, quanto hanno concorso alla formazione vocale dell’attuale critico e interprete della canzone d’autore?), il Consiglio Pastorale, la Commissione di Gestione della Biblioteca e il Centro di Ascolto Biblico, l’insegnamento delle Discipline Religiose nelle Scuole Superiori… Qui Sottocornola sembra manifestare ciò che appare implicito in tutta la sua produzione dell’epoca: ad essere cristiano “attingerai un aumento di vigore per la tua attività di uomo” (S. Kierkegaard, Diario, n. 348).

Poi Claudio è diventato un affermato professionista, docente di filosofia e storia, giornalista e scrittore, interprete e critico musicale. Adesso anche lui passa magari al mattino davanti alla chiesa, ma la sua vita è nella scuola, nei giornali, nella animazione musicale… ambiti nei quali egli persegue la stessa esigenza di universalità di questi scritti e di questo tempo degli inizi. Ma adesso Claudio è in vetrina, e questa esigenza è diventata motore di ricerca, di radicamento e impegno (come per Charles de Foucauld…). A questo punto della sua vita Claudio ha, per esempio, alle spalle una molteplice produzione al tipo giornalistico, letterario, musicale e multimediale. Come docente, si è impegnato in un percorso pedagogico-educativo nel quale il senso della vita è sempre stato al centro di una molteplice attività di insegnamento e di ricerca di tipo interdisciplinare, legata a ciò che di più genuinamente affascina i giovani oggi.

Ed è singolare – coraggioso – che Claudio Sottocornola, autore di articoli pubblicati sulle più svariate testate italiane, abbia deciso di non ignorare, come molti fanno, questa esperienza delle origini (peraltro emotivamente molto intensa), legata alla collaborazione con il notiziario della comunità sul territorio, ed anzi vi abbia riconosciuto, come lui stesso confessa, valore di documentazione, ormai rara, di un’epoca, di un territorio appunto, delle persone e delle esperienze che lo animano, ma anche valore letterario, un significato poetico e formale (come nelle lettere ai due giovani in occasione della loro ordinazione sacerdotale o nel ritratto dei coniugi Beretta) di carattere universale.

Giovane, Claudio ha salvato i sassolini bianchi che ha raccolto (laddove molto andava perduto), ne ha fatto una composizione nuova, di grande valore simbolico, una rappresentazione storica e letteraria, spirituale ed ecclesiale di quegli anni ’80 e della sua giovinezza in quegli anni… e ha salvato un paesaggio, le persone che lo abitano, le speranze che lo attraversano… Possiamo così avvicinarle, riscoprirle oggi insieme, condividerle. E’ un grande dono, che nell’inedito “Apologia del presepio” finale, evoca il desiderio e la nostalgia della relazione, dell’incontro, della riconciliazione che anima gli uomini, tutti gli uomini, di tutti i tempi!

Oggi, dopo 25 anni, Colognola non è più quella descritta in queste “cronache spirituali” né tantomeno quella “di una volta”: all’“Azzanella”, il quartiere “nuovo” sorto a partire dagli anni ’60, quanti sono oggi i residenti nati a Colognola?

Oggi ci sono i romeni, gli africani, gli orientali… e il ceppo – sempre più esiguo – originario del quartiere si trova a vivere in un nuovo contesto multiculturale, di relativismo, che forse sta ponendo nuove domande, di etica, di senso religioso, o semplicemente di senso…

La Chiesa sul territorio – espressione della più ampia comunità che lo abita – dopo questa esperienza sembra così essere chiamata a vivere la condizione di Noè e dell’Arca; c’è chi riesce a filtrare, raccogliere, mettere insieme dei frammenti secondo un ordine, una geometria, il ricordo di un’armonia percepita, rammentata (fede, parola di Dio…?) e a salvarli, per preparare una nuova stagione di arcobaleno e di pace…

Come ha fatto Claudio Sottocornola con gli articoli giovanili raccolti in questa silloge, a testimoniare di una stagione e di un impegno. E noi ora gli chiediamo, lo esortiamo, lo invitiamo: perché non scrivi oggi qualcosa di nuovo a partire dalla tua esperienza di docente, di musicista, di giornalista… E’ troppo bella questa tua ricerca, questa testimonianza, questo tuo modo di interpretare la vita… Raccontacela…

Il pane e i pesci, vol.II° – Scritti cristiani per la gente di Colognola -, Introduzione di Lino Maggioni

 

Restanza , memoria e gente di Colognola

“Restare, allora, non è stata per tanti, una scorciatoia, un atto di pigrizia, una scelta di comodità; restare è stata un’avventura, un atto di incoscienza e, forse, di prodezza, una fatica e un dolore. Senza enfasi, ma restare è la forma estrema del viaggiare. Restare è un’arte, un’invenzione; un esercizio che mette in crisi le retoriche delle identità locali. Restare è una diversa pratica dei luoghi e una diversa esperienza del tempo”. La presentazione ai concetti essenziali dell’ultima fatica dell’antropologo Vito Teti, sul tema della “restanza” come arte del “rimanere nella consapevolezza” (“Pietre di pane”, Quodlibet), e ispirato alla terra di Calabria, oggetto di abbandoni e spopolamento, ben si applica quale illuminante introduzione al lavoro del filosofo e giornalista Claudio Sottocornola, “Il pane e i pesci” (Editrice Velar), ed in particolare al secondo volume della trilogia, “Scritti cristiani per la gente di Colognola”, che raccoglie interviste, riflessioni, testimonianze del quartiere bergamasco posto a sud della città, fra la campagna e l’urbe, in particolare in quello scorcio di tempo che sono gli anni ’80, e rappresentano la giovinezza dell’autore ed un momento di suo grande impegno nella animazione del quartiere e nel volontariato.

La prospettiva da cui l’autore guarda al territorio in quegli anni è zoommata a partire dal riferimento a una comunità ecclesiale, non chiusa in sé, ma specchio della più vasta comunità che nel quartiere si muove, fra piccoli e grandi accadimenti: raccolte fondi per le Missioni, animazione giovanile, uscita e analisi di grandi encicliche come la “Sollicitudo Rei Socialis”, incontro con vescovi e missionari che raccontano il mondo e sbriciolano pagine di saggezza e di grande sapienza interculturale, esperienze di pensionati addetti al riciclaggio dei materiali che l’Occidente opulento butta via, conferenze di enorme pregio ermeneutico, come quella di P. Bartolomeo Sorge sull’ “uomo planetario”, catechesi di Teologia morale o sul Nuovo Testamento. L’autore, come scrive P. Lino Maggioni, esperto di missionologia, nella Introduzione, non si limita a fare da scriba o amanuense ai fatti del territorio ma, forte di competenze e sensibilità teologiche, li interpreta e li decifra, li decanta e racconta cogliendo il senso profondo della Storia che passa nelle pieghe del quotidiano, e li orienta all’unità, quella tanto auspicata in quegli anni dal papa polacco Giovanni Paolo II con i suoi viaggi pastorali e la sua azione mediatica.

Ma Sottocornola è anche poeta con all’attivo due corpose sillogi (“Giovinezza…addio. Diario di fine ‘900 in versi” e ”Nugae, nugellae, lampi. Quaderno di liceo”), e questo è determinante per capire lo sguardo che rivolge al quartiere e alla gente di Colognola in quegli anni ’80 ed oggi che di quegli scritti fa sintesi: è lo sguardo evocato dalle parole di Vito Teti che abbiamo citato in apertura, quello di chi, pur muovendosi nel mondo con le sue proposte artistiche, culturali e professionali (come le sue famose lezioni-concerto) è però coraggiosamente “rimasto” sul territorio, a guardarlo con lo struggimento e, forse talvolta, lo smarrimento di chi vede tutto passare e cambiare, sprofondando in un oblio assordante nel suo silenzio. E’ quanto l’autore evoca nel volumetto introduttivo alla trilogia, “My status quaestionis 2010”, ove parla di strade deserte la sera, di gente che passa e teme di salutare, di pensionati chiusi in casa davanti al televisore, di amici che si sono persi perché le traiettorie esistenziali divergono e allontanano. Ma non è solo una questione esistenziale, si tratta di dinamiche epocali, che sembrano tratteggiare i lineamenti di un Occidente in declino, ove le grandi migrazioni disegnano nuove gegrafie sociali, la tecnologia pervade la struttura delle relazioni più intime e il non-pensiero prevalente (fra “Grandi Fratelli” e “Isole dei famosi”) si impadronisce anche delle menti migliori.

Quest’estate, sulla piazza di Locri ove Vito Teti presentava il suo “Pietre di pane” era schierata la cittadinanza con i rappresentanti del Consiglio Comunale, le autorità e gli uomini della cultura a testimoniare la consapevolezza di questi declini, di questi abbandoni, ed il valore della “restanza”, della consapevole adesione e appartenenza a un paesaggio di valori, affetti e ricordi percepiti come irrinunciabili, soprattutto nella grande deriva contemporanea. Il Sud ha di questi doni, di queste folgorazioni, e la Calabria si celebra con giusto orgoglio nel suo patrimonio di cultura e si fustiga nelle sue più amare contraddizioni. Ma il Nord? E il quartiere di Colognola in Bergamo? C’è qualcuno che si fermi a ricordare, a narrare, a salvare un paesaggio che va perdendosi sempre più, anche solo con la scomparsa dei suoi migliori protagonisti? Le periferie urbane delle città del Nord sono molto più immemori, distratte, indifferenti, chiuse, ignare di ciò che hanno rappresentato le loro genti e i loro territori, e non è solo questione di giovani, perché anche i vecchi vanno perdendo l’identità a favore di una appartenza angustamente televisiva e artificiale, edulcorata e asettica, ove non c’è più posto per la relazione, il dialogo e l’incontro. Sottocornola fa del suo meglio e, come un archeologo alla ricerca dei reperti mancanti mette insieme, incastra, cuce, incolla, ma soprattutto intona il suo malinconico canto su un mondo che non c’è più. Commenta Lino Maggioni, nell’Introduzione agli “Scritti cristiani per la gente di Colognola”: “Giovane, Claudio ha salvato i sassolini bianchi che ha raccolto (laddove molto andava perduto), ne ha fatto una composizione nuova, di grande valore simbolico, una rappresentazione storica e letteraria, spirituale ed ecclesiale di quegli anni ’80 e della sua giovinezza in quegli anni…e ha salvato un paesaggio, le persone che lo abitano, le speranze che lo attraversano… Possiamo così avvicinarle, riscoprirle oggi insieme, condividerle. E’ un grande dono…”.

Famiglia in dialogo, settembre-ottobre 2011
di Augusta Dentella