Chiara Comerio

Poesie per trattenere l’intensità
“Giovinezza…addio” è un diario scritto in versi dal professore-filosofo Claudio Sottocornola. Le quasi 400 pagine dell’opera riportano poesie composte dall’autore tra i 15 e i 35 anni, precisamente dal 1974 al 1994, e tracciano, come da lui stesso definito,il suo ”percorso di formazione”, dalla prima giovinezza fino alla maturità.
Si tratta di una specie di viaggio interiore dell’autore che affianca alla sua dimensione personale, espressa nei componimenti, i fatti storici e sociali che hanno caratterizzato gli anni ‘70 ‘80 e ‘90.
L’opera si presenta sotto forma di prosimetro: in esso le numerose poesie scritte nell’arco di un ventennio risultano divise in nove sezioni precedute da brevi testi di introduzione che inquadrano momenti determinati dell’esperienza dell’autore.
Questa divisione e la decisione di ricondurre tutte le poesie ad un “diario in versi” risale al Lunedì dell’Angelo del 1994, quando Claudio Sottocornola decide di selezionare e riordinare tutta la sua produzione poetica alla luce di una raggiunta maturità, avvenuta necessariamente in seguito all’allontanamento, un po’ nostalgico, dalla giovinezza, e da tutti i miti, le speranze e la allegra vitalità che la caratterizzavano.
Trattandosi di una raccolta che abbraccia quasi interamente un ventennio le tematiche trattate nei vari componimenti sono le più svariate. Nelle prime poesie, scritte negli anni ’70, prevale l’influsso ermetico, i componimenti sono spesso brevi, intensi, legati a un’ immagine particolare o a un pensiero, forte anche l’influsso delle suggestioni liceali del post ’68. L’atteggiamento dell’età adolescenziale è, nei confronti della società, aggressivo e critico: ne è esempio lampante la poesia “Arruolamento”, ma tutto è accompagnato sempre dalla fiducia di poter fare “qualcosa di buono”, dalla speranza nel cambiamento. Questo è anche il momento della ricerca, come è appunto sottolineato dal titolo della seconda sezione (“Ricerche”): di una propria interiorità, di un senso unitario che dia significato all’esistenza, del “bene” tramite i gesti della vita. Ecco la poesia “Il Gesto”: “il gesto inizia/ assurdo/ed impotente./ Muove lentamente/piano a perpetuare./ E dopo osato/ si ricompone./ Di gesti assurdi/ è, stanca, la vita”. Da questo componimento, in particolare dagli ultimi due versi, traspare anche una visione paradossalmente opposta a quella fiduciosa prima citata, si delinea la concezione di un quotidiano opaco, spento, forse legato anche alla perdita di una persona importante come il padre. In riferimento a questo fatto, particolarmente toccante è il componimento “In memoria di mio padre”, specialmente negli ultimi versi “Insieme piangiamo/ i lunghi anni trascorsi/ senza una parola”. L’autore cerca di porre rimedio e di dare un senso a questa duplice visione del reale con la preghiera: ”Dopo ogni/ ribellione/ mancata/ Dopo ogni/ sorriso/ piegato// Dopo ogni/ vittoria/ perduta// Ti riscopro/ intatta/ preghiera// di ricomposte/ immagini/ pietà”.
Sarà, infatti, una forte senso di rinascita spirituale quello che attraverserà i successivi anni ’80, che lo stesso Sottocornola definisce anni di trepidazione e di preghiera, nei quali tutto verrà riletto alla luce di una “teologia della gloria”: la rinascita religiosa sembra aprire le porte dell’interiorità, sembra suggerire un senso alla vita nella sua completezza.
Proprio in questo periodo la poesia viene abbandonata a favore di vere e proprio “Preghiere” che l’autore decide di inserire nel suo diario per testimoniare anche questo tipo di passaggio particolarmente significativo nella sua esperienza personale.
Introducendo la successiva sezione, “Città e musica”, l’autore afferma, invece, di aver riscoperto il gusto della poesia e di aver vinto la diffidenza insorta nei confronti della letteratura.
Ecco che, con l’inizio degli anni ’90, si apre un nuovo capitolo nella vita di Sottocornola, che si immerge e assimila i nuovi valori di una società cambiata, successiva alla caduta del muro di Berlino e ormai attraversata dai fermenti della globalizzazione.
Questi cambiamenti si manifestano nelle poesie attraverso una nuova vitalità, una nuova energia, una diversa prospettiva di osservazione.
Nel componimento “Oh, com’è bella la città”, e in generale in tutta la sezione, traspare in modo netto questa nuova concezione, i versi si tingono di colori e suoni più vivaci e frizzanti: i clacson delle auto, le vetrine di un bar con i loro colori rossi e gialli “nell’aria impazzita di / marocchina cosmopolita frenesia”.
Le poesie si concentrano sulla descrizione di realtà quotidiane: nel componimento “Penombra” i soggetti sono i “marocchini che scorrono in auto”, i bambini che giocano nelle piazze i ragazzi che discutono del liceo, compaiono flash del paesaggio pubblicitario (per esempio in “Spot”).
L’oggetto della poesia diventa quindi a questo punto la forma, i componimenti riflettono il senso estetico della vita, riportano i segni, i simboli, i personaggi emblematici del secondo Novecento: il mito dell’America, la Spagna, Rita Pavone, un concerto di Michael Jackson e anche personaggi immaginari come Betty Boop e Jessica Rabbit.
Sullo sfondo di questo inizia però a prendere forma un sentimento nostalgico nei confronti degli anni ’60, del sogno e del mito, di quella giovinezza in cui tutto sembrava possibile: “Oh la giovinezza che se ne va/ e fa i capelli brizzolati./ Guardo il traffico della strada/ feriale, di scuola e di lavoro,/ dalla penombra di un quieto bar:/ oh le emozioni di allora…/ l’intensità/ che mi hai portato via!”.
Nella successiva sezione, “Moralità”, si assiste ad un ridimensionamento della visione più simbolica e formale espressa in precedenza; l’autore si concentra nuovamente sulla via della ricerca del bene, della “Moralità”: “[…] Nel poco sta / il bene o, meglio, il tutto./ E vorrei aver già scelto…”.
La maturazione finale segna la fine di una giovinezza ricca di speranze, che ha portato alla fondamentale convinzione che la vita è necessariamente legata alla fede e all’amore: l’uomo è inevitabilmente attratto dal peccato, è imperfetto, concetto espresso nel componimento “La rettoscopia avviata”, ma questo non è un motivo di sconforto, anzi, al contrario, è la chiave per giungere alla consapevolezza di chi siamo, una spinta per la continua ricerca del bene, del meglio.
Questo “diario di fine ‘900 in versi” può dunque essere considerato una profonda riflessione sulla giovinezza scomparsa, sull’inesorabile cambiamento che ci accomuna, sullo scorrere del tempo. La religiosità, la ricerca del bene, il senso dell’arte e della musica sono i fili conduttori di quella che risulta essere la “fotografia” della personalità di un uomo. Si tratta di un esempio, condivisibile o meno, ma pur sempre esempio, del percorso di formazione di un ragazzo che, in questi vent’anni di poesie, diventa uomo.

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