Il vecchio e il bambino

di Marc’Antonio*
 
Un vecchio e un bambino
si preser per mano
e andarono insieme
incontro alla sera…

F. Guccini, Il vecchio e il bambino

 

Esiste un’estenuante logorio che la vecchiaia produce sulla nitidezza dello sguardo, sulla intensità della percezione, sulla adeguazione al dettaglio: come se una sorta di stanchezza o languore, una qualche forma di anemia, una insofferenza per il tratteggio accurato generassero grandi intuizioni globali cui manca la forza, l’energia per determinarsi e dettagliarsi, a fronte di un dejà vu che l’esperienza decisamente attesta come dato e come ovvio, come ininfluente allo     sviluppo, per una sorta di evidenza intrinseca che non necessita se non del suo     stesso originario bagliore. Una annunciazione che ha da restare e dimorare nel proprio annuncio, per non estinguersi e banalizzarsi in un simbolo feticisticamente autonomo, cieco e materiale, in un disegno accurato che annulli l’annuncio, e quindi giocoforza la trascendenza sottesa a ogni annuncio, la speranza di là da venire e la sua luce.

Questa luce è invece rimasta nei disegni che Claudio Sottocornola consegna al suo pubblico come Pop Ideas, con tanto di maiuscole a definire un ambito che parrebbe quello delle Idee platoniche, coniugato tuttavia con quel mondo dal basso che è il popular nelle varie declinazioni del suo immaginario, e dunque piegato a un ossimoro che coniuga trascendenza e immanenza nel segno dell’icona che rinvia ad altro da sé pur rimanendo in sé.

E doppiamente rinviano ad altro pur dimorando in sé le immagini che il filosofo del pop propone alla nostra attenzione: da un lato, infatti, come ogni immagine,  esse rinviano al loro significato, e pertanto al personaggio o alla situazione volta a volta evocati, dall’altro lo fanno attraverso una volontaria insufficienza nel definire, delimitare, svolgere, e in ciò attestano e spiegano il loro carattere di idee, cui un elevato grado di astrazione impedisce di articolarsi e banalizzarsi in un qualunque tangibile che ne tradisca la vocazione – l’enigma ? – alla trascendenza.

In ciò ha qualcosa a che vedere la “vecchiaia” di cui si parlava prima: anche se Sottocornola è un artista maturo, anche anagraficamente, la vecchiaia di cui si parla riguarda maggiormente il bagaglio di esperienza, il vissuto, il know-how della vita e, perché no, il senso della cultura o weltanschauung che il nostro autore attesta come ormai correlata a una trascendenza radicale, disinvolta e davvero notevole dai paradigmi correnti. Così, a fronte dell’intuizione estetica, il Nostro dichiara, e qui portando alle estreme conseguenze il concetto contemporaneo di arte come nuova intuizione del mondo – o costituzione di senso – piuttosto che come sua ideale rappresentazione, che gli è del tutto indifferente dettagliare, articolare, sviluppare, magari avviluppando la purezza di una intuizione originaria in una melmosa rappresentazione, e quindi dichiara quanto basta e passa oltre. Lasciandoci un po’ di polvere di stelle.

Si capisce perché Sottocornola ami il popular, come Fellini amava il circo. E si intuisce perché lo sfavillio di comete dei suoi disegni rechi tracce di santi e rockstar, rotocalchi e immaginette, primedonne, bellimbusti e anacoreti. Icone dell’invisibile, paradigmi dell’esistere, brividi dell’attualità e della storia, sono essi forse le tante monadi che riflettono i diversi sguardi di un dio sul mondo al momento della sua creazione?

Che bisogno c’è di andare oltre l’idea che qualche occulta reminiscenza ci rinvia, o che semplicemente al nostro sguardo è dato contemplare per una sua intima vocazione all’essenza? Che bisogno c’è di perdere tempo a raccontare, quando una illuminazione, ancorché stanca e resa anemica dal perdurante fissare, ci appalesa un’evidenza che è giocoforza raccogliere? Del resto, tale approccio olistico sembra favorito in quanti, come Buzzati o Fo, non fanno della visione la loro priorità istituzionale, e forse proprio per questo non restano condizionati dai cliché delle rappresentazioni correnti.

In questo la vecchiaia ha la stessa attitudine dell’infanzia. Una sorta di fretta rispetto al tempo che passa, una sorta di approccio olistico e pantagruelico, una strana vividezza o capacità di sintesi che va dritto all’essenziale e non si dilunga in preamboli né in strascichi inutili, ma afferra il dono con innocente sorpresa, con malcelata esultanza, o anche con una trepidazione commossa.

E non lo trattiene, perché non si spenga come una lucciola catturata, ma se possibile lasci una scia volandosene altrove. La gioia dell’infanzia, che il filosofo del pop dichiara di voler ritrovare coi suoi disegni, si sposa in quegli stessi disegni con la quiete della consapevolezza, quella attitudine che gli antichi identificavano con la saggezza e che noi, ormai ammalati (o vaccinati?) da anni di pensiero debole, identifichiamo sempre di più col gioco, o quantomeno con la sua leggerezza, rispettosa del molteplice e del diverso, del vecchio e del nuovo, di immanenza e trascendenza.

La vecchiaia dell’Europa sarà l’infanzia di un nuovo mondo? Una manciata di idee pop intanto sembra insinuarlo come un paradosso zen, come un appassionante gioco delle biglie.

 

*Claudio Sottocornola parla di “C. Sottocornola, Pop Ideas”.
 

 

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