Tre poesie per la pace
di Claudio Sottocornola

claudio-sottocornola-1975Claudio Sottocornola, 1975
Sento anch’io il bisogno, in questi giorni cupi, di esprimere la mia solidarietà al popolo ucraino e al suo Presidente Zelenski, perché un ordine di valori che mi sembrava addirittura scontato, il ripudio della guerra come risoluzione dei conflitti, che credevo ormai assimilato dalla vecchia Europa, è stato invece messo così radicalmente sotto attacco. Oltre a una Riflessione per la pace, che ho pubblicato contestualmente ai versi che seguono, ho voluto recuperare tre poesie che ho scritto da ragazzo, fra i quindici e i diciotto anni, nella forma che mi era allora congeniale, di ispirazione non violenta. La prima, “Arruolamento”, dell’ottobre 1977, racconta con tono veemente la mia “chiamata alle armi”, ovvero l’esperienza della visita di leva che in Italia, al compimento del diciottesimo anno di età, era obbligatoria come il relativo servizio militare, che poteva al massimo essere posticipato per motivi di studio. Il testo è dichiaratamente polemico e utilizza un linguaggio aggressivo e appassionato come strumento di denuncia, ad esempio, di un accesso al corpo alienante e irrispettoso da parte dell’istituzione che se ne arroga il diritto, e in qualche modo evoca la violenza che la guerra, sottesa alla funzione militare, porta inevitabilmente con sé, nel segno di un misconoscimento dell’individualità e del suo valore, e a favore di una considerazione massificante ed esecutiva dell’essere umano. Lo stesso tricolore, che in quel contesto diviene emblema dell’istituzione e del suo potere coartante, si congiunge lessicalmente con altri termini (Dio, donne, ecc.), a designare il carattere totalizzante del potere persino su identità e valori da esso strumentalizzati. Il “lutto” dell’autore esprime con chiarezza la sua posizione di estraneità a quel contesto e lo colora di una irriducibile malinconia. Al lettore dirò che, in seguito, avrei espresso la mia obiezione di coscienza al servizio militare, svolgendo in alternativa il servizio civile che era stato nel frattempo introdotto nella legislazione italiana. La seconda poesia, “Il potere”, è in realtà ancor più giovanile, è infatti del 1974 e risale ai miei quindici anni, quando mi appassionavo alla lettura dei primi reportage di Oriana Fallaci, dalla guerra in Vietnam (“Niente e così sia”), e dalle sue incursioni alle costole dei “grandi” della terra, che intervistava con tono impavido, provocandoli ad uscire allo scoperto, al netto di ipocrisie e nefandezze occultate (“Intervista con la Storia”). È una poesia semplice, ispirata allo stile sarcastico di Jacques Prévert, poeta che allora leggevo avidamente, e forse un po’ anarchica, dove immagino una pozza di sangue come una sorta di mare ove annegano gli ultimi del mondo, mentre su di un vascello d’oro i potenti dell’epoca (in quel contesto, per me simboli più che soggetti storici) navigano spartendosi ferocemente la pozza. La conclusione è paradossale e amara. Infine “Non ti farò violenza” è poesia di tutt’altro genere e prefigura, a me diciottenne, la possibilità di rapporti umani vissuti non all’insegna del possesso, ma dello stupore e della reciprocità. Leggevo in quegli anni i nouveaux philosophes, ed in particolare mi aveva colpito André Glucksmann che, nel suo “I padroni del pensiero”, teorizzava il carattere repressivo di ogni sistema teorico che tendesse a irreggimentare la singolarità della vita in uno schema predefinito e opprimente, a favore di un approccio libero, flessibile, rispettoso dell’hic et nunc. Ed io avvertivo quell’atteggiamento come congeniale al mio desiderio di non violenza, ovvero di rispetto empatico verso l’individuale, che mai aveva da essere irretito in un gabbia di precomprensione pregiudiziale e inibitoria. È dunque una poesia che teorizza la non violenza a partire dai gesti, dagli sguardi, dalle parole di ogni giorno, e ambisce a generare una esperienza di bellezza e armonia nelle relazioni umane, premessa, evidentemente, anche a una condizione di pace fra i popoli.

 

Arruolamento*

Colore colore
colore tricolore
lo Stato bandì
il senso del pudore
e disse: “Fuori il cazzo
tricoglione!”. Per mano
di arianeggianti e biondi
dottori in diafane
vestaglie, sorridendo,
ne valutò la consistenza…
E ispezionò pance palme
di piedi palme
di mani palpebre
posteriori… I corpi
rilucevano giallastri
in fila agli autoclavi
e sparsero un fetore
grande. Ci promisero amore
tra ’l verde marcio
delle baionette: di tronne
a volontà. Poi ci lasciarono
bianchi a raccogliere
i nostri quattro Wrangles
and Levis… e turbe
come una marea di latte
stridule in sferici corridoi
metallizzati se ne andarono
lodando e ringraziando
Ittrio. Vedevi scritte
intorno come “ragazzine
non piangete, con il ’59
vi consolerete”, e pendule
al bar le strisce
della Patria.
Colori colori
colori tricolori.
Ma io quel giorno
vestivo a lutto.

ottobre 1977
—————–

Il potere**

Una pozza di sangue:
vi nuotano donne gravide
vi affogano bimbi rachitici
vi galleggiano vecchi scorbutici,
legni marci alla deriva.
Su di un vascello d’oro
Kissinger e Breznev, Mao e Selassié
Franco e Schmidt, Pahlavi e Gheddafi
ed altre autorevoli eminenze
si spartiscono la pozza.
Già, un pezzetto ciascuno
non fa male a nessuno.

ottobre 1974
—————-

Non ti farò violenza*

Non ti farò violenza nelle forme
com’è l’usato inganno
da cui trae certezze
il mondo e consolata
dannazione, e morte.
Ti lascio intatta
verità palpabile,
chiaro mistero
di baci e carezze. E tu, se puoi,
non rubare segreti
a un cristallo di sole.

luglio 1977
—————-

* da Claudio Sottocornola, “Giovinezza… addio. Diario di fine ’900 in versi”, CLD-Velar, 2008
** da Claudio Sottocornola, “Nugae, nugellae, lampi. Quaderno di liceo”, CLD-Velar, 2009

I commenti sono chiusi.