Una vita cercando l’ineffabile
Recensire un volume di citazioni, aforismi, appunti, programmaticamente frammentario e pure snodantesi sull’arco di un trentennio, non è cosa facile. Si potrebbe procedere per assaggi, e sceverare i riferimenti alla spiritualità, alla filosofia o alla letteratura che lo attraversano e impreziosiscono, oppure soffermarsi su una parte del percorso e analizzarla. Per parlare di “Scritti spirituali giovanili, citazioni, appunti, aforismi”, ultimo volume della quadrilogia “Il pane e i pesci” di Claudio Sottocornola (Editrice Velar), pensatore dall’approccio interdisciplinare, preferiamo soffermarci sul metodo che l’autore ha seguito nello svolgere la propria riflessione sul senso della vita, nutrita da abbondanti riferimenti biblici, teologici e filosofici, a partire dagli anni ’80, quelli dell’università, per approdare all’oggi.
E il metodo è divergente, sicché a citazioni di San Paolo e Raimon Panikkar, ne seguono altre di Piergiorgio Odifreddi, il “matematico impertinente”, o del controverso regista Woody Allen, a mistici come Teresa di Lisieux e Charles de Foucauld si accostano un maledetto del rock come Jim Morrison o un performer come Roberto Benigni… mentre la riflessione dell’autore, annotata anno dopo anno, dalla giovinezza alla maturità, confronta, argomenta, dipana, a ricostruire una sintesi, una “visione” il più possibile unitaria della esperienza vissuta.
Così entriamo nel pieno della concezione ermeneutica di Sottocornola, per cui “i concetti sono come chiodi e puntine, dei mezzi”, atti ad esprimere il mistero della realtà, tanto intenso quanto ineffabile e, quindi, avvicinabile solo tentando la mediazione degli opposti, la sintesi dei contrari, l’ascesa al “più alto grado di universalità possibile”.
Un’altra modalità nella costruzione del lungo percorso esistenziale che l’autore propone è il graduale, progressivo, inesorabile passaggio dal bisogno giovanile di appartenenza, e quindi di sicurezza, al desiderio, più abramitico e maturo, di libertà. Così, se il linguaggio è inizialmente più attento al “canone”, e frequenta assiduamente il Nuovo e Antico Testamento, in particolare i Vangeli, Paolo e la Lettera ai Romani, il Pentateuco, i Salmi e i Testi sapienziali, la maturità si apre agli apporti divergenti e interculturali di Heidegger, Panikkar, Mancuso e tanti altri, dimostrando una passione per la ricerca, che procede attingendo dovunque si palesino germi di verità e valore.
Non c’è alto e basso, sacro o profano, immanente o trascendente, materiale o spirituale, perché “tout se tient” e la luce sembra attraversare ogni piega dell’essere per testimoniarne la densità ontologica.
Il concetto che a fine lettura si impone, come leitmotiv della silloge, è quello, caro a von Balthasar, della “gloria” come cifra esplicativa della vita e del suo senso, nella consapevolezza, come voleva Oscar Wilde, che “il mistero delle cose non è l’invisibile, ma il visibile”. E, conclude Sottocornola: “Tanti anni di nichilismo culturale e sociale ci hanno abituati al discorso dell’assenza e del non-senso come prioritario nella lettura della condizione umana. Ma forse è giunto il tempo di riacquistare consapevolezza della gioia e della pienezza che traboccano dalle cose, dalla vita e dalla sua consapevolezza. Un immenso mistero di bellezza, verità e bene che anche il più piccolo pulviscolo cosmico implica, evoca, suggerisce…”. Un invito a guardare l’orizzonte, continuando ad appassionarsi del cammino e delle sfide che ci attendono, che volentieri accogliamo in questi tempi di incertezza e disorientamento.
Famiglia in dialogo, novembre-dicembre 2011
di Augusta Dentella