Una vita in poesia
“Giovinezza…addio” è un diario di fine ‘900 in versi scritto da Claudio Sottocornola. Potremmo definirlo “prosimetro di formazione” in quanto troviamo due sezioni principali: la prima autobiografica, in cui l’autore ripercorre la propria vita e ciò che lo ha portato a scrivere, e la seconda, una raccolta di poesie. Poesie moderne che ripercorrono appunto la vita dalla sua giovinezza (15 anni) all’età adulta (35 anni), ma soprattutto 20 anni di storia (dal 1974 al 1994). Nella lettura delle poesie si delinea il volto di un uomo che cambia il suo modo di pensare e ovviamente di scrivere. Infatti il primo capitolo è da lui definito “Primi sguardi”, come se fosse solo all’inizio della vita e quindi di un’ evoluzione artistica e poetica. Descrive gli elementi che più lo colpiscono, come un campanile, la parrocchia frequentata da bambino, il tramonto sulla città: per così dire, i suoi punti di riferimento memoriali. Nella seconda parte, invece, “Ricerche”, le poesie assumono un tono quasi pessimistico: la vita, è una vita stanca, incerta, come minacciata dalla morte. La più significativa a mio avviso è ”Arruolamento”, nella quale l’ autore è costretto a ritrovarsi immerso nel tricolore italiano, tra esclamazioni molto rozze che colpiscono subito il lettore, e un senso vuoto e retorico della patria che viene sentito da tutti i presenti tranne che da lui, per il quale la coercizione della visita di leva e l’obbligo di prestare servizio militare divengono sinonimo di lutto e di rabbia, tanto che deciderà di diventare obiettore di coscienza . Dal ‘79 all’80 le poesie sono scritte in un periodo buio, in cui viene affrontata la morte del padre che, come affermato nella frase d’inizio della sezione, porta l’autore ad avvicinarsi al “Mistero della Resurrezione”.
Si apre così un nuovo capitolo, “Preghiera”, in cui si tocca il tema religioso, argomento molto delicato e sentito, in cui le poesie divengono quasi delle vere e proprie preghiere. L’ultima fra queste risale al 1984, quando ha inizio un lungo periodo in cui non vi è più una produzione poetica.
Nel 1991, dopo sette anni, si apre un nuovo capitolo, nato da una riscoperta voglia di scrivere, intitolato appunto “Città e musica”, che focalizza l’attenzione sul paesaggio cittadino, sulla gente, i bar popolati di persone, le vetrine. Molto espressiva la poesia “Spot”, dove l’autore abbozza in un ordine armonico la confusione delle firme, marche e novità del momento.
Dopo una parte dedicata al mondo fantastico dei “Cartoni”, che affianca personaggi reali ad altri virtuali, come Betty Boop e Jessica Rabbit, ci sono le ultime due sezioni, “Moralità” e “Pensiero debole”.
Queste poesie, scritte tra il ’93 e il ’94, portano alla consapevolezza che la giovinezza è finita e al rimpianto per gli anni dell’infanzia e degli affetti familiari, della scuola e del “giovanile errore”. Anche “Oh la giovinezza che se ne va” e “ Che effetto strano” concorrono al raggiungimento della presa di coscienza del concludersi della giovinezza. Come dice l’autore, “ le cose spesso si realizzano in modo diverso da quello immaginato e forse, anche se non lo sappiamo e ci sforziamo di crederlo, è meglio così”. A mio avviso, la parte più rivelativa dell’ intera opera è la conclusione di “Alle origini della poesia”, dove viene espressa all’ennesima potenza l’umiltà di un uomo, che considera la sua opera “come una bottiglia affidata al mare, il cui messaggio potrebbe arrivare altrove…o perdersi per sempre nelle sue acque”, ma che avrà comunque conferito senso alla sua esistenza.