Alessia Biasiolo

Sottocornola: il gusto della domanda, il tempo del pensiero

“come un bambino/ come un bambino chiede/ io mi domando”.

Cosa c’è ancora da domandarsi, al giorno d’oggi? In realtà, a parte tutte le dissertazioni delle quali erano maestri gli antichi greci e latini, noi siamo abbastanza noiosi. E dobbiamo sempre trovare una ragione per le domande. Come se fossimo alla fine del tempo o al compendio di tutti i tempi, con la presunzione di essere al capolinea. Gli interessanti argomenti dei Classici non si struggevano all’idea di essere il frutto di migliaia di secoli di storia. Eppure anche loro sapevano che era esistito un tempo e che molto era stato creato, forgiato dall’uomo.

E allora, perché noi pensiamo di non dovere avere più pensiero? Che tutto sia stato detto e scritto?

Così questa domanda di Claudio Sottocornola, che in fondo è una risposta molto concreta, non può che lasciare lo spazio per il pensiero. Uno spazio, e mai un tempo, perché pensando non si finisce. Non ci si esaurisce, come molti credono guardando all’elucubrazione come alla bestiaccia orrenda da tenere alla larga.

Il tempo del pensiero siamo noi e lo spazio c’è eccome, soprattutto oggi che necessitiamo di evasione. Nessuno legge nel bisogno di “altro” dei giovani (musica assordante, sballo, droghe, alcol) la necessità di riempire lo spazio di suoni dell’anima, di parole del dentro. Ci si ostina a voler controllare la parola, tra intercettazioni e atti di spionaggio tra vicini di casa, tra colleghi. Perché oggi, 2010, Nuovo Millennio, della parola abbiamo ancora il terrore. Chi pensa è un immondo, da mettere nella galera più impenetrabile (e quanti esempi abbiamo di questo genere). Claudio Sottocornola riprende la parola e la crea nelle sue mani per servircela in modo incompleto: l’arte del filosofo e del poeta è quella di dare sì un pensiero, ma non concluso con se stesso, nell’operazione umile di proporre, suscitare domande e risposte, senza mettersi in primo piano. Lontani i tempi in cui lo scrittore ringraziava il lettore: oggi tutti sono sapienti, arrivati, esperti… Il pensiero fugge disperato perché odia l’inaridimento al quale è condannato. Se poi le argomentazioni confutano il sommo specialista, ecco la fatidica frase: “La poesia non vende”. Non si vende, forse, perché viene dall’anima di cui è moto e allora non è capace, non può, stringere compromessi. Cosa prende il palcoscenico, allora? Il giardino della madre, che poi è un’oasi interiore, e la noia che è foriera di sensazioni e di quesiti. Quelli che inducono a prendere una penna, nel caso di Sottocornola scrittore, e dire: “Come fanno/ le rondini a tornare/ in primavera?/ Io per me/ sempre il treno/ che parte/ prenderò,/ e in ritardo.” Sono splendide queste frasi, questi versi, che sembrano casuali ma che denotano la semplice capacità del Nostro di scandagliare il suo Io e fargli dire il più semplice, il più immediato. Ecco il pensiero. Facile, contesterete? Appunto. I bambini sono facili, si pensa, eppure ci vogliono anni ed anni per raggiungerne la saggezza. E infatti la “Solitudine” si riduce a: “Parto da terre/ appena conosciute/ per solcare oceani/ di tranquillità”, ed è proprio la tranquillità quella di cui necessitiamo. L’abbiamo annullata anche per i nostri figli e tendiamo a cancellarne sempre di più (tra trasmissioni di pazzi urlanti che si lamentano sempre di qualcosa, dovunque siano, tra di loro o con gli altri) perché nella tranquillità non c’è guadagno, non c’è interesse.

“Versare amarezze/ è la medicina/ di questa sera:/ è dire: ecco,/ come mi avete ridotto!/ E pensare,/ che non c’è via d’uscita./ Che io conosca!”.

“Non avevo nuove esperienze/ da raccontare:/ per vivere ancora qualche ora/ dove cambiare, migrare altrove/ -restando fedele allo stormo-/ sforzarsi una qualche allegria./ Mi sforzerò una qualche allegria/ stasera: uscirò, farò una lunga/ passeggiata, sorriderò dentro,/ mi figurerò il bicchiere mezzo-pieno”.

Claudio parte dall’oggi e va all’indietro, operazione avulsa ai più. Va a guardarsi, tra versi e fotografie, per capire e capirsi, ora che la storia è scritta, per significare i suoi passi e riflettere sui suoi scritti. Riscopre i “Quaderni di liceo” e non ne ha paura, e lascia scorrere dentro di sé la motivazione che l’ha spinto e sospinto e accompagnato per tutta la vita. Poesia amica e sorella, mai ombra spauracchio, anche se a volte assumeva le forme di una città nemica. I termini sono voluti, ricercati nel vocabolari sepolto nell’anima del pensatore, che scopre tra note e poesie, tra scritti e canzoni, il senso del quid del tempo odierno che vuole lo spazio per esprimersi prima di risultare nullo: tutti noi che non adoperiamo il nostro tempo per significare lo spazio siamo falliti nella missione personale depositata nel nostro codice genetico. Non importa se poi esistono sofisticatissimi strumenti per scoprirre le tracce, per studiare il DNA e scoprire il criminale. Abbiamo fallito nell’operazione del creare: chi investiga arriva sempre dopo, studia solo il già fatto. Non si condannano le opinioni, soprattutto se non sono state espresse, e pur di non esprimerle ci si addormenta l’anima di pasticche e ci si dispera affinché arrivi qualcuno a risolvere dei problemi che si hanno ma non si conoscono. Forse proprio perché non ci sono per niente.

Sottocornola conduce il suo cammino da “cane sciolto”, terribile espressione per definire le persone che non fanno parte di un gregge. E non si lascia incantare dall’idea di entrare a far parte di un coro. Ci sta, magari, ma il punto è che personaggi come lui, eclettici e versatili, saggi e capaci di stare dovunque e con chiunque, non rientrano negli schemi predigeriti di qualcuno che scrive trame di qualcosa che non sa e non conosce (spesso oggi, infatti, si confonde il sapere con la conoscenza, senza ragionare sul fatto che l’uno non sempre comprende l’altra e viceversa). Che farsene di uno così? Lo si legge. In queste pagine che non si appiattiscono, per quanto possano sembrare semplici. I suoi scritti sanno avere l’efficacia dell’ovvietà, quell’ovvietà che poche persone riconoscono come valore e non come banalità dell’ennesimo libro inutile. Non per forza si deve creare qualcosa di diverso e innovativo e nuovo: basta dare parole al reale, perché qualcuno da quelle parole possa trarre ispirazione e motivo e senso e benessere e anima e sole e gioia e spazio per il proprio tempo.

Claudio Sottocornola adempie al suo ruolo e lo significa, lo sente trovando parole per esprimerlo per gli altri, conducendo l’operazione eterna dell’ascoltarsi per “sapersi” e conoscersi al fine di scoprire assieme a sé la strada da continuare a percorrere perché questo tempo di vita sia spazio davvero di pensiero da regalare a chi lo ama.

Da leggere.

Nonsololink.com, 12.4.2010

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