Giulio Brotti

Nuovo canzoniere tra riflessioni e invettiva sociale
Nugae, nugellae (“inezie”, “bazzecole”): così Petrarca definiva le proprie rime in lingua volgare, raccolte nel Canzoniere. Le stesse parole figurano nel titolo dell’ultimo libro di poesie di Claudio Sottocornola, Nugae, nugellae, lampi. Quaderno di liceo (Editrice Velar, pp. 348, euro 20). Rispetto al suo predecente volume Giovinezza… Addio (1974-1994) – Diario di fine ’900 in versi, questa nuova silloge comprende 42 composizioni poetiche e altrettante tavole fotografiche che procedono a ritroso negli anni, dal 2008 al 1974. In questo viaggio à rebours i ritratti dell’autore, che lo raffigurano in un arco di tempo di trentacinque anni, si alternano a fotografie da lui scattate, in cui compaiono alcuni suoi “paesaggi dell’anima”: il giardino e altri ambienti della sua casa, le strade di Bergamo imbiancate dalla neve, le spiagge e le pinete della Riviera Adriatica.
Docente liceale di Storia e Filosofia, cantante e artista multimediale oltre che poeta, Sottocornola si confronta in queste pagine con l’enigma della persistenza dell’identità personale nel flusso del tempo: le sue liriche esprimono la volontà di rintracciare il fil rouge della propria biografia, di attestarne la coerenza e il senso, contrastando la casualità muta degli eventi quotidiani. Il percorso è quello di un uomo che, giunto alla maturità, si avvede pienamente del potere corrosivo del tempo e si ritrova, a tratti, “senza più domande che urgono, / la strada da percorrere / chiara, irresoluta la vita / e già passata la metà / senza un chiaro segno, / più grande che il lavoro / quotidiano” (Oh malinconia che torni, 2 aprile 1993).
Alle “invettive” e al tema dell’utopia sociale, ricorrenti nelle poesie del periodo del liceo, subentra dunque gradualmente un’attitudine più contemplativa, volta non più a cambiare l’assetto delle cose presenti, ma a interrogarle, cercando di intuirne il segreto. Rimane, nell’animo, il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non si è compiuto: “Avremmo potuto conquistare / il mondo. Serviva un po’ più / di coraggio e umiltà, / le forze si sarebbero moltiplicate / e gli amici avrebbero seguito”; ora, invece, “diventiamo / sempre più tristi e devoti, o almeno, / per me è così” (Avremmo potuto conquistare il mondo, 14 gennaio 1994). D’altra parte, i “lampi” a cui allude il titolo di questa raccolta poetica testimoniano il balenare di un senso recondito, per cui la realtà si rivela ancora, nonostante tutto, affidabile: “Come una foglia di lillà / alla penombra dei bersò, / che vuoi tu dalla vita / se non questo fruscio, / questo alternarsi di freddo / e caldo, questo ritorno, / più maturo, di quiete?” (Come una foglia di lillà, 26 agosto 1996).

L’Eco di Bergamo, 20 febbraio 2011

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