Il giardino degli sguardi

di Francesca Grispello

La vita è l’universale respiro della natura.

Friedrich Schelling

L’occhio, che si dice finestra dell’anima, è la principale via donde il comune senso può più copiosamente e magnificamente considerare le infinite opere di natura.

Leonardo Da Vinci

Osservando la mostra fotografica di Claudio Sottocornola, già anticipata nel suo recente libro “Nugae, nugellae, lampi”, ci si accorge immediatamente che questo lavoro nasce da un’urgenza. Forse quello stesso allarme che presagiva la perdita della madre ha permesso all’autore – sensibile e poliedrico uomo di cultura – di riflettere in un lampo tutto il suo percorso esistenziale.

Qui non ci troviamo di fronte ai suoi famosi collage, non ci sono lezioni-concerto, ma una sola esigenza che l’atto del fotografare placa, una lotta contro l’oblio.

Sottocornola rinuncia all’esposizione in prima persona, non ci sono manipolazioni sul reale, ma la sua rappresentazione: brandelli di memorie, di luoghi, di voci, di gesti che nascono, fioriscono e riposano in quel giardino.

La natura dalla quale tutto il lavoro nasce e alla quale l’autore ci conduce, in queste immagini – che attestano una presenza vitale – è quella Natura, ora libera e spontanea verso se stessa, ora necessaria per noi, per l’armonia che genera e per la morte che produce.

Atto d’amore, di bisogno e consolazione.
L’esaltazione dell’unità profonda tra physis e uomo è un segno, un percorso ermeneutico che dal dolore conduce alla vita, al suo omaggio. Lo sguardo dell’autore, per quanto denso di attualità, è classico, non vuole dominare o comprendere il tutto, ma lo lascia parlare evocando con la fotografia la sua manifestazione.

Scrivevo nella prefazione a “Nugae, nugellae, lampi” , che anticipava alcuni di questi scatti: “Il tempo che scorre ci scopre diversi e tutto il suo ordine qui è ricomposto, non si è mai contemporanei a se stessi e ciò che si era un tempo non è altro che una diversa declinazione di uno spirito, che di velo in velo, cerca una realtà. L’uomo che ruba l’inverno al giardino, l’uomo che alza gli occhi dalla scrivania e osserva il fluire del mondo, l’uomo che scopre ed è scoperto dal mare è quello stesso uomo che cerca, per il tramite del poiein, uno spazio sacro che riproduce e taglia un angolo di mondo per riempire un vuoto. Il riferimento alla madre di Claudio è un atto d’amore e dedica, per quel vuoto eterno che genera l’assenza di una figura che per definizione colma il vuoto, ed ecco la casa, la sorella e quel giardino che è madre feconda, anche d’inverno, serena e terrestre, eterea e inaccessibile per quel mistero naturale che è forza di vita”.

Roland Barthes, nel suo capolavoro “La camera chiara” , intuisce che non è l’indifferenza che toglie il peso all’immagine, ma è l’amore estremo. Tutto il peso, il senso di questo percorso che “Il giardino di mia madre” sottolinea è l’amore immenso, la comunione tra l’ordine della natura – il giardino, la neve, il mare, l’America, le isole, il Sud – e l’ordine della grazia che sboccia e si rigenera in un angolo di paradiso che è il giardino.

In questo ricercare l’origine del dolore, il suo senso, l’autore conquista se stesso e si libera in una dimensione circolare di passato-presente-futuro.

La mostra si compone di dieci percorsi: dal giardino ai tramonti a nord-est , ci troviamo di fronte a momenti in cui si raccoglie il colore del tempo e uno sguardo eterno. Scatti rubati e recuperati, brulicanti di vita e di passaggi esistenziali, dove non c’è spazio per il grigio, che tende invece a circondare il giardino, metafora piena dello sguardo di Sottocornola.

Il rifiuto di sperimentalismi o artifici espressivi porta l’immagine ad essere semplice -minimalista- eppure enigmatica, per la manifestazione di uno stupore acuto e sotterraneo. Ma lo stupore si intreccia ad un rumore di fondo: è il mondo, come il mare con riva, come il sole e le sue ombre, come l’acqua con la terra, come il cielo con il suo orizzonte.

Il tutto è accompagnato da una serenità nel narrare il terribile che ricorda il sacro zen. Al visibile si accompagna sempre un’assenza e in questi scatti potremo osservare la genesi delle cose, avvertirne la vibrazione. Ancora dalla prefazione a “Nugae, nugellae, lampi” : “Queste visioni del singolo…contribuiscono a formare una costellazione di senso unica, indifferenziata e mai compiuta. Tutto ciò che ci viene presentato è situato in uno spazio completamente oggettivo, lineare, chiaro ed evidente: ciò che si mostra non è una serie di situazioni affiancate ad altre, ma in realtà, esse sconfinano le une nelle altre, manifestando una solidarietà con ciò che mi riguarda, con il mio corpo, la sua profondità e la mia partecipazione. Una silente evidenza capace di contenere il gesto e il rumore del mondo, che non appartiene alla voce di nessuno, esso è ovunque… in nessun luogo”.

La lingua ammutolisce dinnanzi a ciò che si può solo intuire, il viaggio che compiamo in questa mostra ci serve, come direbbe Italo Calvino in “Collezione di sabbia” , “a riattivare l’uso degli occhi, la lettura visiva del mondo” e a riconoscere l’umano, il se stesso che ha preso forma: “Stagioni della vita, bianche di neve, fredde e bagnate, ma non meno accoglienti del mare che scopre un uomo che guarda a riva, specchio di una memoria, non serialità di ricordi, perché in essa abbiamo modo di rifletterci” (Prefazione, “Nugae, nugellae, lampi” ).

La vita che Claudio Sottocornola omaggia non è solo la sua perché ognuno possiede il suo giardino, il suo nucleo d’amore eterno che nutre foglie e fiori.

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