Roberto Gualdi

Il messaggio nella bottiglia che raccoglierò
Sulla fine dell’anno scorso, quando il professor Claudio Sottocornola, poco tempo dopo la pubblicazione del suo libro di poesie, decise di regalarne una copia a ciascuno dei due studenti che fossero stati estratti, il caso volle che io fossi uno di quelli. Devo ammettere che appena lo ricevetti, un sorriso mi si delineò in volto: sul fondo verde della copertina, campeggiava la fotografia del mio docente di Storia e Filosofia non più che trentenne; la incorniciava il titolo: “Giovinezza…addio, Poesie(1974-1994), Diario di fine ‘900 in versi”. Avevo tra le mani il libro di un autore che conoscevo personalmente, ed era forse la prima volta che ciò mi capitava. Oltretutto, studiando quella fotografia, mi resi conto che il mondo non è altro che una ruota che gira, che colui che da un anno ormai, mi insegnava la storia e l’arte del pensare, era stato anch’egli, come me ora, studente, che come me, forse, si era appassionato alla poesia e aveva deciso di manifestare i propri sentimenti utilizzando niente più che carta e penna. Non passò molto tempo prima che iniziassi a leggerlo; innanzitutto la biografia, poi l’introduzione e, finalmente, le poesie. Mi chiedo tuttora cosa possa essere successo quel lunedì di Pasqua del 1994, giorno nel quale Sottocornola ha deciso di rivedere le poesie da lui scritte fino ad allora, di selezionarle, di classificarle e di concepire la coraggiosa creazione di un libro che raccogliesse i suoi pensieri dai quindici ai trentacinque anni, una sorta di romanzo di formazione autobiografico che narra il progressivo e a volte doloroso passaggio dall’adolescenza alla giovinezza e poi all’età adulta. Il titolo stesso manifesta una certa malinconia, con quel “Giovinezza…addio” che trasmette la mestizia di riconoscere che la gioventù se ne è andata per sempre, ma che, dall’altra parte, vuole salutare in modo degno un’età probabilmente tra le migliori della vita, le cui sensazioni possono essere rivissute proprio attraverso la rilettura critica delle poesie scritte in quel periodo. Ed è proprio l’arte nelle sue svariate forme (musica, poesia,…), forse, l’unico strumento grazie al quale è possibile tuffarsi nei ricordi senza però perdere totalmente di vista la realtà. E credo che Sottocornola abbia voluto fare questo, ossia studiare come si è evoluto il suo sentire e il suo modo di vedere il mondo e di porsi in esso per comprendere meglio se stesso, l’io presente. Socrate non invitava forse al “conosci te stesso”? L’autore ha colto lo stimolo socratico rappresentando spesso nei suoi componimenti dei quadretti, dei flash particolarmente significativi per la sua crescita. E così ecco presentato il campanile della chiesa del paese, quand’egli chierichetto sbirciava dalla sagrestia, la supplente di inglese delle elementari, quasi una fata, il viaggio in America e l’annua permanenza negli States riassunta abilmente in tre paginette, il ruolo della musica, dei Beatles, dei miti italiani come Rita Pavone; ed è facile paragonarlo ai giorni nostri. Certo, le vicende sono senza dubbio personali, ma generalizzabili, senza tempo, il loro valore è riferibile anche alle esperienze religiose dei giovani di oggi, ai loro viaggi all’estero, senz’altro più frequenti, ai nuovi gruppi musicali e alle nuove forme d’arte. Mi sono particolarmente piaciute le poesie che si potrebbero definire “americane” per contenuto: Born in the U.S.A. e Presidenziali sono contrassegnate da un ritmo fortemente musicale, mentre le immagini del mito americano, per chi l’ha conosciuto, si affollano concitate nella mente creando un puzzle di ricordi ed emozioni. Posso intuirlo nonostante io non sia in grado di comprendere a fondo queste poesie: esse narrano di un mondo che non mi è stato dato di vivere e, d’altronde, come potrei conoscerlo senza chi, come Sottocornola, ne penetra l’essenza e ne succhia il midollo? Egli si fa testimone per me, giovane, di un mondo che non c’è più, di un mondo che lui ha vissuto in pieno, fatto di rock, di discussioni post-sessantottesche, di miti americani e di anni “gloriosi” per la storia della televisione. “Ascoltavo musica e televisione, leggevo i giornali e andavo al cinema o studiavo gli autori” -dice l’autore in apertura alla sezione Cartoon- “ma quel che più conta, non c’era altro, oltre questo desiderio di estrarre la forma e di vivere in essa. Decisi dunque di farne l’oggetto della mia poesia, per non restare disoccupato. E mi accorsi che cantavo il nostro tempo”. Egli è, in un certo senso, il poeta della fine del secolo (e anche del millennio), perché ne narra le vicende e ne indaga le evoluzioni più profonde: la perdita dell’identità, l’omologazione, la decadenza dei valori morali, a volte richiamando ad una più seria attenzione: di fronte a chi sostiene in modo superficiale che il peccato è “passione, incentivo dell’anima”, l’autore risponde con freddo rigore morale che “in realtà toglie luce e speranza, l’energia del cammino”. Oltre alle poesie, a mio parere sono particolarmente significative le introduzioni con cui l’autore apre ogni capitolo: esse permettono al lettore, oltre che di intuire il tema dei componimenti racchiusi in quella sezione, di comprenderne il fine e l’intenzione. Si passa da Primi sguardi a Ricerche, da Oh come vera e dolce a Preghiera, da Città e musica ad Acquerelli, da Cartoon a Moralità ed infine a Pensiero debole, una serie di titoli che, hegelianamente, mostrano, dopo la prima fase del silenzio dell’infanzia (Idea), un giovane che inizia a guardarsi intorno “col proposito di fissare con le parole” il suo cuore (Natura), per poi tornare in sé, nella meditazione e nella preghiera (Spirito). Ma poi, si riscopre la bellezza del mondo e della letteratura, tutto diviene potenziale oggetto di poesia: la città, gli spot pubblicitari in una giornata piovosa, una passeggiata in centro, un mangiatore di fuoco in piazza per, infine, tornare di nuovo in se stessi, capendo che la vita non può essere estetizzata senza perderne il gusto, soffermandosi quindi sull’importanza della moralità e dell’agir bene. Ed in questo continuo confronto tra mondo e coscienza, la giovinezza se ne va, ma Sottocornola confessa di non potersene dire deluso, dato che essa l’ha portato “alla fede e alla convinzione che, comunque, non si può rinunciare ad amare”. Ed è un insegnamento che io accolgo e per cui ringrazio il mio professore; un insegnamento che fa sì che quest’opera, come una bottiglia affidata al mare, non si perda nelle sue acque, ma porti il suo messaggio a qualcuno.

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