Diario di una vita senza riserve…
Durante le appena trascorse vacanze estive ho letto “Giovinezza… addio. Diario di fine ‘900 in versi”, scritto dal mio professore di filosofia Claudio Sottocornola. Nonostante all’inizio fossi un po’ riluttante all’idea di leggere una raccolta di poesie (infatti non mi era mai capitato), mi sono stupita di come anche vere e proprie liriche riescano a mostrare la realtà da un punto di vista del tutto personale, un punto di vista diverso, un punto di vista che definirei unico. Infatti noi studenti siamo abituati a studiare filosofia attraverso il libro di testo fornitoci dalla scuola, pensando spesso alla filosofia come ad una disciplina del passato, lontana da noi e sì, forse anche un po’ noiosa. Inoltre per noi la poesia è quella che si studia in letteratura, quella di Dante e Petrarca, di Leopardi e di Montale; è raro per noi affrontare testi contemporanei e riuscirne a capire fino in fondo il senso,nonostante spesso siano i più vicini al nostro mondo; ma poi mi chiedo: “Sarà poi così fondamentale capire del tutto il senso? Non sarà più importante lasciarsi trasportare dal mondo che l’autore ci presenta e dal suo originale metodo d’osservazione della realtà?”. Io mi sono rapportata in questo modo al libro di Claudio Sottocornola; con una curiosità che alla fine è stata ripagata dalla scoperta di un’esperienza di vita, di qualcuno che, più vecchio di me, ha tentato di trasmettermi un messaggio raccontandomi un po’della sua vita.
Questo libro infatti racchiude in sé la visione della vita e dunque dell’esistenza in genere di una figura che realmente conosco e che sicuramente, ora, conosco un po’meglio.
In questo libro l’autore ci presenta attraverso la poesia una parte della sua esistenza, dai quindici ai trentacinque anni, ma non solo: egli ci presenta anche un mondo di cui io sono stata partecipe solo per pochi anni, il mondo di fine ‘900. Il tempo della narrazione è scandito dal giocoso susseguirsi di poesie che la rendono varia, affascinante e a volte anche un po’ bizzarra. Bizzarra perché mentre leggevo mi capitava di chiedermi, per esempio, che importanza avesse una figura come quella di Betty Boop nella storia di un uomo, oppure perché una persona potesse ritenere significativa e rivelativa una rettoscopia. Ma forse è proprio in questo strano modo di accogliere gli avvenimenti e di rapportarsi al mondo che l’autore riesce a rendere così interessante il proprio punto di vista sulla realtà.
Il libro inizia con l’introduzione dell’autore che, riassumendo la sua vita, ci presenta le attività che ha svolto, gli avvenimenti principali che lo hanno coinvolto e come egli si sia rapportato ad essi. Inoltre rende partecipe il lettore di ciò che questa sua raccolta significa per lui e quale sia lo scopo di tale libro.
Poi iniziano le poesie, le prime poesie che ci presentano il mondo degli anni ’70, visto dagli occhi di un ragazzo che lo osserva sognante. E Sogno è il titolo della seconda poesia della raccolta, in cui l’autore descrive un viaggio in una terra orientale con velieri che solcano mari e tappeti volanti: uno scenario immaginario e ricco di fantasia, fantasia che riflette un modo di osservare giovanile, in cui i sogni si mescolano alla realtà.
La poesia che più di tutte mi ha colpito si trova nella sezione Ricerche e si intitola Se volete conoscermi, in cui il poeta diciannovenne scrive che, se proprio si vuole conoscerlo, non bisogna pensare ad una quercia o ad un giunco che vivono una nelle foreste, l’altro sulle spiagge, ma afferma invece: “Pensate / a un albero mite dimesso / un albero giusto qualunque / che a dispetto di tutto e di tutti (…) / chissà come e perché / se ne sta lì / ostinato a spaccare l’asfalto / di un piazzale assolato / annerito abbruttito / tra i palazzi di una brutta / città. / Ecco guardate: spunta, / cresce, s’avanza, s’allarga, protende / quei pochi rametti.”
Mi è particolarmente piaciuta questa metafora, perché ci fa capire come il poeta non sia staccato dal tempo e dal luogo in cui vive, ma come ne prenda parte, ponendosi come un osservatore “mite e dimesso”, “uno qualunque”, che cresce all’interno della società e del mondo, si impegna in esso e ne occupa un posto.
A questo punto è bello vedere come lo sguardo dell’autore non sia solo quello di uno spettatore, ma sia quello di un vero e proprio attore che prende parte alla scena.
“Volevo che la mia vita avesse un significato nei suoi atti e nella sua essenza, e che io lo conoscessi”; è questa la frase che introduce la sezione Ricerche. Ecco che quindi il giovane Sottocornola diventa filosofo, colui che ricerca il senso della vita, magari gettandosi a capofitto nel volontariato, con “le mani tese a chiedere / a dare …”, che cerca di allargare il più possibile il suo bagaglio di esperienze, da quelle di studio a quelle lavorative, perché reputa fondamentale una visione globale della realtà e una conoscenza il più universale possibile.
“E sentirò piano nascermi dentro un bene”,scrive in una poesia: un bene che è consapevolezza che, nella vita, un significato c’è e che esso va ricercato perché, come dice Socrate, “Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta.”.
Continuando a leggere ci si imbatte nelle poesie degli anni ’80 e ’90, ed è possibile avvertire in esse come l’autore sia cambiato, rinato: la giovinezza è ormai alle spalle, inizia il tempo delle responsabilità, e un’ombra di malinconia cala sui componimenti. Ma la conclusione non è affatto un arrendersi, è visibile anzi nelle parole dell’autore una consapevolezza nuova: è possibile “costruirsi stando attenti ai tempi e alle pause”, e soprattutto, nonostante la giovinezza sia stata ricca di sogni e aspettative e il furore giovanile faccia crescere e cambiare, non importa se i sogni non si sono del tutto realizzati, l’importante è continuare a ricercare, anche attraverso nuove esperienze ed interpretazioni, continuare a vivere senza riserve