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(I)

No, non viviamo più nel paesaggio scabro e solare della Magna Grecia, dove l’Essere si dava con generosità e rigore, né negli orizzonti misteriosi e notturni della Trascendenza medievale, ma nel desolato paesaggio tecnologico post-moderno, che ci sovrasta e annichila con la sua presuntuosa – ed efficiente – immanenza. (altro…)

(II)

Ho sempre avvertito una ferita, un dolore, un disagio, quando qualcuno non riconosce la bellezza: e derubrica un paesaggio, una persona, un quadro, uno scritto, come “brutti”. (altro…)

(III)

È quindi volgare e malinconico lo stereotipo che divide il bene, quello magari dei giovani middle-class, dei papa-boys e degli eterosessuali, dal male degli sbandati, dei senzatetto, degli alcoolisti, dei drogati o degli omosessuali… (altro…)

(IV)

Se pensiamo all’inutile movimento delle masse, alla dispersione senza meta delle folle, e all’ondivago e incerto mutamento delle opinioni trasformate in chiacchiere senza fondamento dai mass-media, ci accorgiamo di quanto la società contemporanea necessiti di questo riferimento alla trascendenza, di questo ricorso e abitudine alla preghiera, strumento di relazione e di conoscenza ormai disatteso dai più. (altro…)

(V)

La quiddità – il determinato, il qualche cosa, ciò che ogni realtà è – ci sprona ad accettare, gli ambienti, le persone, l’aria, le cose intorno a noi… che invece spesso disprezziamo, ignoriamo, mortifichiamo, persi dietro al sogno di un altrove che – legittima figura della speranza e del sogno – non deve però mai offuscare la bellezza del paesaggio reale, del concreto storico in cui ci muoviamo, viviamo, agiamo. (altro…)