Un gioco d’artista per Claudio Sottocornola

di Francesca Grispello e Donato Zoppo

Il fare, il dare forma con il colore o senza.
Ritrarre qualcuno vuol dire conoscerlo e percorrerlo nel suo essere al mondo.
Lo sguardo ci mette sempre in relazione, la mia singolarità è aperta da questo sguardo, mi apre come nuova madre al mondo. Proprio questo tipo di sguardo “sulle cose e alle cose” è ciò di cui bisogna aver cura. Avere uno sguardo che sappia ancora giocare nel mondo senza pregiudicarlo è un monito difficile da onorare. La disciplina che uno sguardo puro richiede arricchisce e problematizza il mio rapporto con le cose.
Tutti partecipano al medesimo mondo nel quale io stesso metto in gioco tutto ciò che sono: il mio corpo, le mie rappresentazioni, i miei pensieri e la mia storicità. Ciò che si chiama o si dice “io”, è offerto ed esposto ad uno sguardo altro. In uno spazio rettangolare accade una doppia esposizione, l’uomo e l’artista.
Come scrisse Charles Baudelaire in Scritti sull’arte, «La qualità prima di un disegnatore è perciò lo studio assiduo e sincero del proprio modello. Occorre non solo che l’artista abbia un’intuizione penetrante del carattere del modello, ma anche che v’infonda un qualche senso più generale, e esageri volutamente alcuni particolari per accentuare la fisionomia e renderne più chiara l’espressione. È curioso notare che, guidata da questo principio – secondo cui il sublime deve rifuggire dai particolari – l’arte per muovere verso la perfezione torna alla propria infanzia».

Sorpresa. Ancora una volta, nel percorso artistico di Claudio Sottocornola, torna prepotente il tempo. Stavolta in un perenne swing tra passato e futuro; tra infanzia e maturità; tra l’era del gioco e quella della riflessione. È con un certo stupore che abbiamo osservato – avanti e a ritroso, saltellando tra microfoni, colori e fisionomie quasi cubiste – i disegni, anzi le ‘Pop Ideas’ che  Sottocornola ha realizzato a corredo dei suoi Saggi Pop. Un corredo diverso da quello che le mamme confezionano per le figlie in occasione del sospirato matrimonio, diverso da quello desiderato dalle giovani coppie per i pargoli che verranno. Mamme e famiglie guardano al futuro, caricandolo di speranze, proiettando i desideri verso un altroquando che invece era assente nello sguardo che Sottocornola, nel pieno di una giovinezza trascorsa a suon di musica leggera, rivolgeva al suo avvenire. Era uno sguardo presente e consapevole dell’ottimismo di quegli anni ’60 che il filosofo del pop da sempre canta – anzi interpreta – portando alla luce la spensieratezza, il carpe diem di un paese giovane e in piena ricostruzione. Il futuro è arrivato dopo, in un nuovo presente artistico, materializzatosi dentro il tratto veloce, a volte nervoso e affollato di voglia di esprimersi, dei colori che Sottocornola ha consegnato a questi bozzetti – Sottocornola Sketches, verrebbe da dire.

C’è una evidente continuità tra la lezione-concerto e il disegno che vi presentiamo; un trait d’union che lega la poesia ermetica e il collage, la riflessione teoretica e lo scatto fotografico, fino al bozzetto di pastello su foglio bianco. Non potrebbe essere diversamente, visto il sistema di pensiero e azione nel quale si muove Sottocornola. Queste Pop Ideas, disegni affidati allo scatto più che alla ponderazione, alla rapidità del gesto più che alla meditata costruzione del segno, aggiungono contenuti e chiarificazioni al lavoro di Sottocornola allo stesso modo delle interviste raccolte nel saggio Varietà. Se i dialoghi con i divi del pop realizzati nel corso degli anni hanno chiarito l’approccio ermeneutico e la capacità di penetrazione con la conseguente consegna al lettore dei tratti salienti del personaggio, ancora più efficace è il disegno. Gli occhi taglienti del compianto Johnny Hallyday, la serena immobilità di una Rita Pavone occasionalmente a riposo, il grigio quasi neoclassico di Shirley Bassey e la posa ieratica di un autoritratto incarnano storie, percorsi, desideri, vicende umane, ancor prima che artistiche. Un’intuizione penetrante del carattere del modello, per citare nuovamente Baudelaire.

Ciò che colpisce di più è il ricco, folto, corposo incrocio visivo tra volti, copertine, pose plastiche da concerto, fermo-immagine in corsa. Vengono in mente i tratti di un giovane Andy Warhol alle prese con le prime copertine per la RCA Victor, là dove non si dichiarava un volto o una personalità ma si offriva un’immagine repentina, quasi rubata, si inquadravano con rapidità gesti o scatti, o addirittura il solo strumento, talmente iconico da identificarne il titolare. Torna il pop, perché le idee grafiche di Sottocornola, non nuovo a lavori con l’immagine (pensiamo ai collage di Eighties o alla fotografia del Giardino di mia madre), si connettono direttamente a certi elementi basilari dell’arte di massa.
Anche se non provengono direttamente dagli anni ’60 di Sottocornola vista la loro genesi più recente (dal 2010 al 2013), questi disegni trovano la loro ragion d’essere proprio lì, procedendo a ritroso in quel futuro ancora tutto da costruire, certo nebuloso, nel quale però trionfava l’ottimismo di un decennio “favoloso”, mosso da una spinta positiva, che prima delle inquietudini del Sessantotto si proponeva come terreno fertile per coltivare passioni sgorgate dalla fonte del mythos fondativo, altro topos ricorrente nei pensieri di Sottocornola.

Accanto agli ascolti, alle scoperte, all’incanto per la vitalità di Paul Anka e Rita Pavone, per la sensualità di Mina o della Vanoni, per gli interrogativi di Tenco e Bindi, Claudio incontrava un’infanzia in costante mutazione. A questa ritorna, stavolta non con il racconto in musica della lezione-concerto, non con il dialogo diretto delle interviste, ma con il disegno che compie un giro diverso per arrivare al medesimo approdo. La contemplazione del mito.
 

 

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