(IV)

Se pensiamo all’inutile movimento delle masse, alla dispersione senza meta delle folle, e all’ondivago e incerto mutamento delle opinioni trasformate in chiacchiere senza fondamento dai mass-media, ci accorgiamo di quanto la società contemporanea necessiti di questo riferimento alla trascendenza, di questo ricorso e abitudine alla preghiera, strumento di relazione e di conoscenza ormai disatteso dai più. Oh, è vero, si dirà che preghiera è quello che guida nel cuore di ognuno bisogni e sofferenze che costui non saprebbe altrimenti dichiarare, nemmeno a se stesso, perché “lo Spirito geme e soffre nelle doglie del parto…”, come dice San Paolo, e tutto ciò è sacrosanto, ma è pur vero altresì che la preghiera consapevole, di impetrazione, di grazie, di lode, di perdono, ecc… tanto più riassesta il timone di chi guida entro un mare in tempesta, tanto meglio stabilizza l’ago della bussola che segna la direzione di marcia o, se vogliamo, sfama e disseta il viandante affaticato, ridonandogli speranza ed energia…

Non c’è infatti speranza senza energia (“Alzati e mangia, perché ti resta ancora un lungo cammino da fare” dice il Signore a Elia in 1 Re 19,5b-7b, ma anche non c’è energia senza speranza. E dunque, in che cosa può consistere la nostra speranza, se non nell’intravedere la meta del cammino, o quantomeno, più modestamente, nel sapere da indizi sparsi e rivelatori, che siamo sulla buona strada, che abbiamo buone ragioni per arrivare sani e salvi alla meta, che possiamo continuare a lavorare e impegnarci per il fine che ci eravamo prefissati? La vigilanza è allora virtù e pratica che dobbiamo coltivare come nessun’altra, perché “come un ladro di notte verrà il padrone”, e allora il lavoro compiuto sarà lì a testimoniare per noi o contro di noi. E l’essere che – trafficando il tesoro ricevuto – avremo contribuito a manifestare, sarà lì a risplendere di una luce intensa quanto l’impegno che l’avrà generato e tenuto in vita.

Ma ditemi come è possibile ciò se delle innumerevoli dispersioni che ci occorrono, dei molteplici e divergenti stimoli sensibili, delle seduzioni effimere che ci assalgono, dei contrastanti sentimenti che ci attraversano, non riusciremo a fare unità, a realizzare sintesi, orientando il nostro cammino a una meta. Molti cambiano compagni, amici, luoghi, case, cose, esperienze (automobili, tagli di capelli, matrimoni, religioni…), in rapporto all’emozione del momento, al cangiante gusto del tempo, o nell’inseguire i fantasmi e i sogni dell’autorealizzazione, dell’espansione del sé. Come foglie mosse dal vento, si agitano e piegano alle correnti, senza trovare requie. E invece, quanto diverso il riferire a una trascendenza che sta oltre l’esperienza – spesso effimera, abbagliante e ambivalente – del sensibile e della nostra vicenda in esso –, e che ne unifica i dati, le divergenze, i conflitti e le contraddizioni entro un disegno unitario, quantomeno perché correlato al più proprio fondamento di ogni elemento nel sensibile esperito e di noi stessi, in modo particolare. Come non capire allora che la preghiera, mettendoci in relazione con questo ambito del fondamento e della trascendenza, ci permetterà di conoscere nelle forme insieme più adeguate e rispettose possibili ogni cosa, ogni realtà, e di collocare ogni aspetto della nostra esperienza entro un orizzonte di significato che va oltre il “qui ed ora”? Come non capire che la preghiera ci permetterà di relativizzare gli imperativi, all’apparenza irrinunciabili, della sensibilità, della fantasia, del sentimento, della stessa razionalità? Come non vedere nella preghiera – trattandosi di un esercizio conoscitivo, volitivo ed affettivo insieme – un riordinamento al fine, una ristrutturazione di senso, una mozione di fiducia – e quindi generatrice di speranza e di vita – entro l’ambito così spesso confuso, disperso e depresso della nostra esperienza?

C.Sottocornola, I trascendentali traditi, 2011

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