Il filosofo “prestato” alla canzone

Prendete un professore di Filosofia e Storia, ordinario in un prestigioso Liceo classico, mixate con un giornalista free-lance che dagli anni ’80 si occupa di spettacolo, TV e canzone, aggiungete un originalissimo interprete dei classici della canzone e avrete un cocktail nuovo e attuale, un segnale della direzione in cui si muove oggi una parte del mondo della cultura o, quantomeno, un soggetto con la vocazione del precursore culturale e l’amore del pop.

Stiamo parlando di Claudio Sottocornola, che ha affiancato negli ultimi dieci anni alla ricerca scientifica nel mondo del pop una ricerca estetica e creativa che lo ha portato in studio di registrazione per indagare origini e nuove modalità interpretative dei classici della canzone italiana, con incursioni anche nell’ambito del mondo anglosassone.

Dal 2004 tale ricerca si è materializzata in un tour di lezioni-concerto rivolte ad ogni tipo di pubblico, e in 3 CD, L’appuntamento 1, 2, 3, che raccolgono 33 pezzi storici della canzone riletti in modo nuovo e personale.

-Come nasce la sua proposta di lezioni concerto?

”Si inserisce in un contesto di particolare interesse per la contemporaneità e quindi di attenzione per la cultura pop che la caratterizza. Come docente ho potuto spesso constatare che i ragazzi vengono preparati per esempio ad analizzare “L’infinito” di Leopardi, ma subiscono acriticamente il linguaggio dei media. Constato peraltro che buona parte del ‘900 sarà probabilmente ricordata per l’esplodere della cultura pop (contrazione di popolare), legata ai linguaggi e alle strutture della società di massa, che vanno dal cinema alla televisione, dalla canzone ai giornali. Relativamente a questi mondi, ho incominciato sul finire degli anni ’80 a proporre lezioni multimediali concentrandomi in particolare sulla Storia della canzone e dello spettacolo. Successivamente, avvertendo il desiderio di occuparmene anche in chiave estetica e creativa, mi sono chiuso in studio di registrazione, ove ho approfondito nuove modalità interpretative dei classici della canzone. Da lì, il passo è stato breve: sono nate queste lezioni-concerto rivolte al pubblico più vario, da quello giovanile delle scuole al pubblico adulto dei centri culturali e dei locali che propongono buona musica a quello di “Terza Università” con cui collaboro realizzando lezioni-concerto mensili sui grandi temi (i cantautori, gli anni ’60, l’immagine della donna nella canzone, ecc.)”.

-E’ un approccio abbastanza inusuale il passaggio dalla dimensione critica a quella artistica…

”E’ vero, e forse l’associazione di queste due dimensioni costituisce proprio la specificità, la ricchezza della mia proposta. La mia attività di docente mi ha aiutato a contestualizzare, a sviluppare competenze critiche. Come giornalista ho invece potuto conoscere il mondo dello spettacolo in modo più diretto, ho incontrato e intervistato personaggi ormai mitici: da Nino Manfredi a Wanda Osiris, da Ornella Vanoni a Paolo Conte, da Mia Martini a Carla Fracci, da Milva a Lattuada. Questi incontri hanno fatto nascere in me il desiderio di espormi e osare di più in prima persona”.

-Che tipo di interprete è Claudio Sottocornola?

”Credo di avere acquisito la grande lezione della canzone moderna (Battisti insegna!). Ciascuno deve ‘cantare’ con la propria voce e questo non è facile. La vera sfida del canto non è il ‘bel canto’, ma il precario equilibrio che si realizza dal punto di vista espressivo nella persona quando canta e che si avverte nella voce o nella gestualità scenica. La voce come rivelazione, come cassa di risonanza dell’essere…”.

-Come è nato e si è sviluppato il suo rapporto con la musica pop?

”Sono nato nel 1959 e ho vissuto da bambino i grandi cambiamenti che avevano luogo nel mondo della canzone in quell’età aurea che sono stati gli anni ’60. Mia sorella, di pochi anni maggiore, acquistava quei 45 giri che proponevano un nuovo modo di cantare: Paul Anka, la Pavone, Di Capri, i Beatles. In seguito, ho frequentato il Liceo scientifico “Lussana” nel post ’68, quando era vivo il dibattito culturale che prediligeva la letteratura (Sartre, Marcuse, Camus, Prevert…) e il cinema (Antonioni, Fellini, Pasolini, la Cavani…). Erano gli anni del rock progressivo, della canzone politica, del neo-folk e si guardava con diffidenza alla musica pop. Ma si consolidava anche il ruolo dei cantautori, ed io ascoltavo Paoli, De André e i francesi. Dopo l’Università e i primi anni di insegnamento, l’inizio dell’attività giornalistica mi ha messo di nuovo in contatto con un mondo che credevo di avere in parte dimenticato, ed è stato, ancora una volta, amore a prima vista”.

-Che cosa lo affascina della canzone?

”Devo confessare che ciò che più mi affascina non sono i testi, e nemmeno la melodia o gli arrangiamenti. Sono, in primo luogo, le voci. Amo le voci un po’ sporche, nere, o comunque espressionistiche. Per questo adoro le grandi interpreti nate negli anni ’60: la voce pastosa e un po’ androgina della Pavone, quella afona e dalle timbriche basse di Patty Pravo, quella metallica ed enigmatica di Mina, e poi la Vanoni, Milva, più recentemente la Nannini… Ma anche gli autori un po’ esistenzialisti o ruspanti come Paoli, Vasco, Ruggeri”.

-Come si svolgono le sue lezioni-concerto?

”In genere svolgo un tema, che può andare dalla canzone d’autore all’immagine della donna, e quindi seleziono un repertorio che sia insieme significativo e a me congeniale. Valuto anche se, rispetto al brano che ho scelto, sono in grado di dire interpretativamente qualcosa di nuovo o quanto meno di mio, tanto più che mi avvalgo di solito di basi digitalizzate molto vicine all’originale. Lo spettacolo si struttura come una specie di one-man show in cui io intrattengo il pubblico al 50% raccontando, analizzando, contestualizzando il brano, e al 50% cantando. Durante lo show mi interrompo per lasciare spazio a interventi del pubblico, e la partecipazione è in genere così intensa che i tempi del concerto si allungano anche di molto. A seconda del pubblico e delle situazioni posso ovviamente configurare lo show più come lezione-concerto o come “omaggio” a un’epoca e a un repertorio”.

-E per chi non potesse partecipare alle sue lezioni?

”Tra il 2004 e il 2005 ho deciso di archiviare e pubblicare materiale che avevo realizzato prevalentemente negli anni ’90. Si tratta di 33 reinterpretazioni di brani pop e della canzone d’autore in Italia, che vogliono configurarsi come “studi” in sala di registrazione (e difatti ho mantenuto tale dizione). L’ultimo CD è uscito a ottobre del 2005 e l’intera trilogia si chiama “L’appuntamento”. Ha un carattere in qualche misura sperimentale o “incompiuto” che si è voluto mantenere, ma rispecchia anche, considerata la scelta di usare mezzi tecnici essenziali, un periodo “aureo” del mio modo di interpretare, forse più ruvido e “sporco” di quello attuale, ma espressionisticamente molto interessante. Il primo di questi CD è in via di esaurimento, per cui chi lo volesse può richiederlo anche via e-mail a claudio1759@interfree.it Ho in programma la pubblicazione di due DVD: uno relativamente alle sedute in studio, uno “live” che documenta direttamente questo biennio in tour”.

-Come concilia l’attività di filosofo con quella di interprete della canzone?

”Se nella mia attività di filosofo privilegio il momento logico-razionale, in quella di interprete sviluppo maggiormente l’ascolto delle emozioni e la parte intuitiva di me. Tutto ciò però mi completa e regala una dimensione più ampia e globale. A livello filosofico poi, l’ermeneutica contemporanea suggerisce che la categoria privilegiata nel rapporto con la realtà debba essere quella di “interpretazione”. In un mondo in cui la realtà sembra sempre presentarsi con caratteri aporetici, tale categoria ci aiuta senz’altro a mediare le opposte e spesso contrastanti istanze, a raggiungere un precario ma gratificante equilibrio. E una buona canzone, anche se per un attimo, è tutto questo”.

-Come definirebbe la sua voce?

”Mi sforzo di essere autentico rispetto all’epoca in cui vivo, un’epoca inquieta e ambivalente, che esige una “voce”, una interpretazione, che non ne mascheri le sofferenze e i disagi ma che, se possibile, conferisca ad essi una espressione adeguata”.

La Voce, 3-9 febbraio 2006

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